Genova

In quattro anni persi a Genova 117mila elettori

CARTA BIANCA

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In soli quattro anni, tra le politiche del 2013 e le comunali del 2017, quasi 117mila genovesi hanno deciso di non recarsi a votare con una caduta della partecipazione elettorale del 74,73 al 48,39 per cento. Un brusco e veloce azzeramento della metà del corpo elettorale.

Come dire che chi vota è ormai una larghissima minoranza ma appunto una minoranza o, con un’immagine più vivida, come fosse sparita dall’anagrafe elettorale la somma dell’intera popolazione (non solo degli aventi diritto al voto) di due municipi come il Ponente e il Medio Ponente. E se è evidente che non è possibile fare un’automatica correlazioni tra elezioni così diverse ( politiche, europee, regionali e comunali) e il ragionamento ha qualche aspetto di arbitrarietà statistica è altrettanto vero che il trend della non partecipazione è continuato a crescere senza soluzione di continuità. Ecco è difficile trovare una sintesi più significativa della crisi della nostra democrazia di questa progressiva e costante disaffezione verso le istituzioni e verso la politica. Di certo la spiegazione della minore partecipazione elettorale come effetto della modernità, del superamento delle ideologie e dei forti conflitti sociali mostra evidenti crepe. A partire dall’apparire, in tutto l’Occidente, di movimenti antisistema capaci di conquistare in breve tempo un ampio consenso e dalla contrapposizione, che pare sociologicamente acquisita, tra “ popolo ed elite”. C’è invece da chiedersi se non fosse di fatto un’analisi giustificazionista, un non volersi misurare con una progressiva inadeguatezza della politica a rispondere al mutamento sociale e al governo dei processi accelerati di trasformazione dell’economia e del lavoro. O riferendosi agli anni di cui parliamo di dare risposte alla devastazione prodotta dalla grande recessione, alle lacerazioni del tessuto civile del paese, alla diffusa assenza di speranza di un effettivo cambiamento. Perché, al di là delle più o meno sofisticate considerazioni sul non voto, emerge comunque una straordinaria coincidenza tra impoverimento degli italiani e perdita della fiducia nelle istituzioni, tra svuotamento dei sistemi di welfare, crescita delle periferie materiali ed esistenziali e indifferenza verso la politica. Il caso genovese è emblematico ed è leggibile nei dati raccolti da Stefano Gaggero in uno studio sulle diseguaglianze e il disagio sociale ed economico nella nostra città. A iniziare dalla disoccupazione, cresciuta dal 9,3 al 15,1 o dall’indice di grave deprivazione materiale triplicato tra il 2007 e il 2016. Soprattutto è mutata la dimensione stessa dell’essere poveri: non più conseguenza della marginalità ma un orizzonte in cui per tanti è possibile precipitare all’improvviso da una condizione di normalità. Basta poco: il divorzio, la perdita della casa, un familiare non autosufficiente. La perdita del lavoro è poi uno scivolo immediato nell’indigenza. E nonostante ci siano tanti anziani soli in difficili condizioni economiche le nuove povertà aggrediscono di più le giovani generazioni consegnate, se riescono ad accedere a un’occupazione, al precariato e alla flessibilità senza tutele. Di fatto la povertà è diventata una componente strutturale della nostra vita sociale. Oltre 100mila liguri quasi 15 milioni, tra povertà assoluta e relativa, a livello nazionale. All’opposto, sempre a Genova, il 3 per cento dei cittadini più ricchi dichiara un imponibile superiore a quello del 40 per cento più povero. La città del 2018 è profondamente diversa da quella del 2013: più vecchia, più povera con più giovani che fuggono. L’astensione è possibile tracciarla visivamente dove più forte è il disagio, dove il sentimento di abbandono è più pronunciato. Quartieri dove fino a un decennio fa la partecipazione era elevata. Certo nel non voto ci sono anche altre cause legate a una difficoltà a riconoscersi negli attuali schieramenti politici, alla stanchezza di votare “ il meno peggio”. Ma al fondo c’è una distanza che sembra essersi cristallizzata e che trova alimento nel diffuso peggioramento della vita quotidiana, nella perdita, e questo è forse la cosa più grave, di credibilità dei processi democratici. Destra e cinque stelle, date almeno nei sondaggi nazionali, come i più vicini alla conquista della maggioranza, raccolgono parte di quel mix di incertezza, paure e rancore che costituisce un nuovo collante sociale ma non sono riusciti, almeno ad oggi, davvero a intercettare e invertire il trend dell’astensione. Di fatto dove hanno vinto è perché il centrosinistra si è svuotato della sua rappresentanza tradizionale e le formazioni più radicali non riescono a recuperare la fuga del voto di sinistra. Ma qui pesano quella crisi di consenso, quella perdita di legami sociali che assumono ormai una dimensione storica e non solo nazionale. La più brutta campagna elettorale e una bruttissima legge elettorale rischiano così di sfociare in una ulteriore disaffezione degli italiani verso la politica. Che con l’eventuale vittoria di forze xenofobe vedrebbe una democrazia ancora più in crisi e lacerata.