Genova

Grandi opere, il contrappasso grillino

LIGURIA ITALIA

3 minuti di lettura
Tra i punti più discussi del “contratto” tra 5S e Lega ci sono anche le grandi opere e, tra queste, con particolare spicco, quelle che riguardano Genova e la Liguria, come il Terzo Valico e la Gronda.
Non è un caso se l’accordo su punti come questi è più difficile, perché non si può procedere sommando i diversi interessi (in fondo si può fare sia la flat tax che il reddito di cittadinanza, basta abolire la sanità pubblica), ma si deve optare tra due soluzioni antitetiche: non si può fare la TAV solo sino a Bussoleno; o si fa o non si fa: i latini avrebbero detto “tertium non datur”.
Ma i barbari non sanno il latino e possono anche accordarsi su una sì e una no, come potrebbe succedere con le due opere genovesi: il Terzo valico sarà salvo, con opportuni ritocchi e, forse, invece, la Gronda no, se il ritiro in Comune della mozione in suo favore presentata da Bucci può essere letto come un gesto per non disturbare i manovratori romani alle prese appunto col tertium che non si dà. In realtà, un contratto tra due forze politiche si può fare sino a quando queste condividono sostanzialmente una visione del mondo, un’idea di futuro, come l’UCD e la SPD in Germania.
Anche il compromesso storico fu un tentativo di ritrovarsi su una idea di democrazia e di futuro (il Pci rinunciava a quella rivoluzionaria e sovietica a favore di quella democratica e occidentale).
Ma se, come ha detto Salvini, ci sono idee di futuro inconciliabili o una delle due forze rinuncia alla propria o la modifica profondamente oppure il contratto non si può fare o è minato alla base, specie nei punti che da quell’idea di futuro più dipendono.
Le grandi opere sono il caso più emblematico, perché di per sé richiamano il futuro e quindi l’idea che se ne ha. Se si guardasse il presente o il futuro prossimo non si farebbero, non si sarebbero mai fatte grandi opere: che bisogno aveva la piccola Firenze medievale di un duomo così grande come Santa Maria del Fiore o quanti passeggeri si poteva prevedere che avrebbero utilizzato la linea Milano- Roma a fine Ottocento?
Anche se, a volte, le opere pubbliche possono davvero risultare inutili o eccessive, specie quando concepite per pura speculazione o propaganda politica, in genere esse sono una generosa scommessa sul futuro a medio-lungo termine: le fa solo chi ne ha uno in cui sperare.
Quando Di Maio bocciava (in campagna elettorale) il Terzo Valico dicendo “ non spenderemo tutti quei soldi per aspettare se qualcosa si sblocca tra vent’anni, ma rafforzeremo subito la rete del trasporto pubblico”, dimostrava chiaramente che lui non aveva o non gli interessava un progetto di futuro.
Già vent’anni gli sembravano troppi, pur essendo lui giovane e praticamente certo di esserci ancora tra vent’anni.
Ma vent’anni non è oggi e il leader di oggi non pensa neanche al domani, figuriamoci a un futuro più lontano.
Di Maio non avrebbe mai costruito il duomo di Milano che richiese quasi due secoli di lavoro e poteva fare solo gente che edificava per i figli, i nipoti, per noi posteri.
La neopolitica regressiva ragiona come i valligiani di Valle Susa, che, sin che lo scempio urbanistico riempiva le loro tasche attuali ( vedi Bardonecchia e la mafia), non hanno detto niente; quando poteva andare a vantaggio della collettività futura si sono fieramente ribellati e i soliti duri e puri di sinistra li hanno scambiati per poveri contadini che lottano contro ricchi proprietari. Nel caso di Genova e della Liguria le opere prospettate o già in cantiere scommettono su un futuro di traffici e collegamenti che oggi non è forse neppure chiaramente ipotizzabile. È appunto una speranza. Chi ce l’ha, la basa però su una certezza: l’isolamento, la lentezza nei collegamenti non fanno bene, né all’economia né alle persone. Nella storia è sempre stato così: quando sono aumentate le distanze e i tempi è aumentata anche la povertà, crollata la cultura; questa la verità, con buona pace dell’utopia borghese che sogna la “ decrescita felice”, l’Arcadia metropolitana, la bicicletta invece del treno. Anche l’Europa unita, raggiunta rapidamente e facilmente da ogni Paese membro, è una bella, entusiasmante idea di futuro, per chi pensa ancora al futuro. È triste osservare che, mentre si cerca di scrivere la storia, come è stato detto, si lavori a impoverire il futuro, a rinchiuderlo in provinciali e poveri spazi municipali, mettendo in discussione o annullando le grandi opere di collegamento tra città e tra stati e negando il valore incalcolabile di un’Europa unita e ravvicinata. Credo che chi lo fa sarà condannato dalla storia cui ambisce.