Genova

Ultim'ora

Chiesto il rinvio a giudizio di Santanchè per il caso Visibilia: l’accusa è di truffa sui fondi Covid

Murta, un'oasi in campagna insidiata dalla Gronda

Seconda puntata nelle periferie felici della città

4 minuti di lettura
Una frazione in cui resiste il senso della comunità Famosa per la festa della zucca e per la battaglia contro il nuovo collegamento infrastrutturale
Già c’è l’obbligo all’andatura “slow” affrontando le curve in salita delle strette via Massuccone Mazzini e via Giovanni da Murta. E il primo slargo – se ti è andata bene che non hai incrociato il bus 74 che ti impone retromarce alla speraindio – è proprio lassù in piazza della chiesa, dedicata a San Martino di Tours e retta da un sacerdote francese dell’omonimo ordine portato a Genova dal cardinale Siri negli anni ‘ 70, per di più. Sarà così che quando arrivi a Murta, con tutto quel verde e i cancelli delle ville lungo la strada ti sembra di essere in qualche borgo della campagna francese. Ma è alla bottega di Alberto che ti rendi conto come questa sia Genova, Genova vera.
Perché la bottega di Alberto è il centro del paese. Paese vero: tra “ di sopra” ( la zona oltre la chiesa, arrampicata sulla collina e vastissima fino alle alture di Trasta) e “ di sotto”, giù verso Bolzaneto, qui ci stanno in 1500. «Ma io direi anche 2000 e più, c’è gente che nemmeno lo sa di abitare a Murta, ma la parrocchia è questa » , precisa Alberto Repetto, titolare della bottega dove si vendono le verdure degli orti di zona e il pane, oggetti di cartoleria e detersivi « e dove faccio anche il caffè, perché di bar non ce ne sono» sorride lui.
Un paradosso: un pezzo di città ampiamente vissuto, con moltissime famiglie, soprattutto giovani, che hanno scelto di venire a stare in campagna a un quarto d’ora dal centro ( code in autostrada o sulla strada di sponda escluse), ma con servizi quasi inesistenti. «Strade da pulire e sistemare, qui non si vede mai nessuno del Comune » sbotta Pietro che con la moglie Pina, dalla natia Catania si sono spostati a Genova più di cinquant’anni fa e da almeno una ventina abitano, soddisfatti, a Murta. « Oddio, io vorrei più sicurezza, qua polizia non se ne vede mai…» aggiunge lui.
Magari non si vedono divise, ma esiste, invece, una rete di persone che fa sentire meglio, più sicuri. Una rete che, al di là del vivere bene nel verde, sa anche ritrovarsi per un evento che coinvolge tutti, i due weekend della Festa della Zucca che a novembre indirizzano quassù tra le 10 e le 12 mila persone. E, soprattutto, riunisce tutti in vista di quella che considerano la battaglia della vita: il no alla Gronda autostradale, che passerebbe proprio qui sotto, a mezza costa.
« Io abitavo a Rivarolo ma qui avevo amici e ci venivo spesso. Nel ’98-99 ho scelto di venire qui: mi sono sempre piaciute la campagna e il senso di comunità: sta calando, ma comunque il tempo di entrare da Alberto, fare due battute e andare a lavorare, c’è sempre » , racconta Paolo Putti, già grillino storico e ora consigliere di “ Chiamami Genova”. Lui, quando si inizia a svelare il tracciato della Gronda, inizia a passare di casa in casa «e spiegavo cosa sarebbe accaduto: è nato così il Comitato di Murta, una comunità che si fa domande e che cerca di agire.
Questo è un territorio riscattato dopo la chiusura della raffineria di Garrone, ricordiamolo: ecco perché c’è tanta sensibilità sull’ambiente. Anche per difendere la scuola, ad esempio: bene, adesso ci sono gli alunni, ed è un bene prezioso per le famiglie che hanno scelto di vivere qui, ma mettiamo che l’anno prossimo ci siano pochi nuovi iscritti in una prima elementare, si comincerebbe a rischiare…». « Non solo la scuola, ma due asili delle suore, quello di santa Caterina da Genova e di Santa Elisabetta, che vanno benissimo. Vede, è proprio l’idea di vivere in campagna che convince le famiglie con bambini piccoli a salire qui: siamo a 185 metri di altitudine, i più alti arrivano a 300 metri » incalza Roberto Campi, l’ingegnere che è segretario della Festa della Zucca, insomma l’uomo al centro dell’organizzazione dell’evento nato 32 anni fa, ma anche punto di riferimento per la storia e la cultura locali. Racconta delle iniziative dei botanici con i bambini per far conoscere la biodiversità di un territorio « e va dalla macchia mediterranea ai castagni e a i faggi » , della strada che, superando la collina, «va alla Cavalla e fino a Lencisa», di un paese dove si ripetono riti celtici come “le strie in cà”, altro che Halloween “perché noi lo facciamo a marzo, all’inizio della primavera».
Solo ad accennare la parola Gronda, Campi si rabbuia: « Non c’è occhio per vedere il futuro e così lo vediamo in un altro modo. Che senso ha decidere oggi una strada che, se tutto va bene, sarà pronta tra dieci anni e soprattutto per i mezzi diesel che l’Europa sta mettendo al bando? » . Lui, adesso, sta già lavorando insieme a tutto il comitato parrocchiale per la Festa, è chiaro: « facciamo gemellaggi con le altre località polceverasche, a partire da Cremeno e il diploma di re Berengario…».
La lentezza è anche la chiocciola di Slowfood sulla porta del ristorante «O Colla», un’istituzione vera e propria da quando quassù si saliva in carrozza. Mauro Risso, titolare dal ’ 96 insieme al fratello Andrea, che sta in cucina – nello staff c’è anche Serena, anche lei di Murta – è passato da Alberto per comprare qualcosa che mancava. «Mi hanno portato dei funghi bellissimi, stamattina – racconta e sorride – la gente viene anche dalle riviere, non è un punto di riferimento solo della vallata, anzi. Sarà che facciamo cose che non si trovano più, come il riso arrosto alla genovese; ai clienti piace ritrovare questi sapori » . Cucina a chilometro zero? « Quando è possibile, anche: in zona ci sono parecchi giovani che hanno ricominciato a produrre, ci ha messo l’orto, chi le api. Ma non è semplice lavorare la terra e viverci».
Il bus è arrivato al capolinea, scendono mamme con bambini, anziani. La vita di ogni giorno si riversa da Alberto. Appoggiato al bancone c’è Luciano Bersani, “ l’artista” come lo chiamano gli altri. Lui si schernisce: «Io facevo l’operaio siderurgico, ma ho sempre amato il legno. E ho scolpito anche il crocifisso, che è qui ora in chiesa. Ma adesso c’è la vigna, che mi dà da fare » . Vermentino, pigato, rossese; la produzione è buona e, conclude Alberto, « si beve tutta con gli amici: anzi, c’è anche il vino rinforzato, una tradizione della zona: si apre il 26 dicembre nella mia tavernetta a casa, vengono anche gli alpini, si canta il trallallero, si sta insieme ». Come in campagna, insomma