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Giacomo "Piraz" PirazzoliWritten by: Patrimonio

Dialogando sull’eredità (misconosciuta) di Lina Bo Bardi a Salvador di Bahia

Questioni e commenti con Ana Carolina Bierrenbach e Nivaldo Vieira Andrade sulla conservazione (o manomissione) di alcune opere di Lina Bo Bardi in Brasile

 

GP: Giacomo Pirazzoli, docente DiDA-Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze e borsista CAPES 2017-2019 presso la Facoltà di Architettura dell’Università Mackenzie di San Paolo

ACB: Ana Carolina Bierrenbach, docente UFBA-Facoltà di Architettura della Università Federale di Bahia e membro Docomomo-Bahia

NVA: Nivaldo Vieira Andrade, docente UFBA-Facoltà di Architettura della Università Federale di Bahia e presidente nazionale IAB-Istituto degli Architetti del Brasile

 

GP: La migrante Lina Bo Bardi, lasciata l’Italia nel 1946 per il Brasile, dopo San Paolo lavora a Salvador-Bahia (1959-1964) dove incontra l’Afro-Brasile e, tra l’altro, realizza il MAM (Museu de Arte Moderna al Solar de Unhão). Recuperando un opificio esistente con poche mosse, inclusa la famosa scala in legno, Lina Bo dichiara “questo non è un museo” perchè non ha collezione: piuttosto dovrebbe chiamarsi “Centro, Movimento, Scuola”- sulla falsariga della riflessione cominciata da Pietro Maria Bardi fin dal 1946A quattro anni dal “Centenário de Lina Bo Bardi (1914-2014) – Tempos vivos de uma arquitetura” che lei ha co-organizzato a Salvador di Bahia con un focus sulla conservazione dell’opera di Lina Bo, al MAM le finestre verso la baia sono state “tappate” perdendo il rapporto con il luogo, è stata installata l’aria condizionata ed i quadri appesi alle pareti ridipinte di un improbabile colore marrone. Il risultato è tra il salone borghese ed il qualsiasi, come mai Bo fece in anni di mostre e musei allestiti. Come si commenta tutto ciò?

ACB: Nel 2015 insieme ad Eduardo Rossetti (Università di Brasília) ho scritto un testo per la rivista “RISCO”, pubblicato in occasione del centenario di Lina Bo qui a Salvador. In quel saggio abbiamo avanzato alcune osservazioni che ritengo ancor oggi valide. Abbiamo sottolineato il fatto che Lina Bo è finalmente riconosciuta in Brasile come all’estero – talvolta raggiungendo un livello perfino eccessivo che potremmo definire d’idolatria. Le sue opere realizzate a San Paolo sono oggetto di cura, e hanno avuto interventi di restauro o li avranno tra poco. Forse questo riguarda il ruolo che è riconosciuto all’architettura a San Paolo, con un’attenzione più diffusa anche tra la gente, diversamente da quanto accade qui a Salvador – dove forse non si comprende quanto l’architettura possa essere importante.

Tornando agli edifici di Lina Bo a Salvador, mi pare che al MAM la situazione sia complicata; ora sembra che stiano per essere riaperti il Parco delle sculture ed il cinema, mentre qualche giorno fa, dall’alto, abbiamo visto che la copertura è stata interamente rifatta, mentre il molo è in stato molto precario. Certamente il MAM ha avuto per lungo tempo un ruolo cruciale per la città, come ora non è più.

NVA: Concordo sul fatto che a San Paolo l’opera di Lina Bo sia conservata meglio che a Salvador; forse perchè proprio a San Paolo quattro suoi edifici sono vincolati dall’IPHAN, l’istituzione brasiliana che esercita la tutela dei beni culturali. Altra prova di questa maggior cura è il recente recupero dell’allestimento originale di Lina Bo al MASP (Museu de Arte de São Paulo), come pure i progetti di conservazione e manutenzione avanzata in corso sia al MASP che nella casa dove i Bardi vivevano, oggi sede dell’Instituto Bardi-Casa de Vidro; è anche importante notare che entrambi questi progetti vantano una supervisione particolarmente qualificata ed il supporto della Getty Foundation nell’ambito del programma “Keeping It Modern”.

D’altro lato a Salvador, oltre alle già ricordate alterazioni al MAM, che modificano in modo piuttosto aggressivo il progetto espositivo di Lina Bo, c’è da dire anche dell’intervento realizzato nel Teatro Gregorio de Mattos con l’installazione di un impianto aria condizionata con condotti largamente sovradimensionati insieme – cosa ancora più grave – alla messa in opera di una “scatola” in policarbonato con struttura metallica per la soprastante sala teatrale, che ha modificato completamente la percezione della scala elicoidale in cemento armato, così come del pilastro centrale rosso, attorno al quale si sviluppa la scala.

GP: Proseguo con un altro caso a Salvador, l’intervento del 2014 sulla Casa do Benin, un ponte di intercultura tra Africa e Brasile. Lì, la paglia intrecciata con cui Bo aveva rivestito le colonne – allusione al controverso e fantomatico Ordine africano ovvero citazione da Francesco di Giorgio – scelta progettuale precisa, documentata anche con schizzi e foto (oltre che col ricordo personale, nella fattispecie), è stata eliminata; agli impianti trattati secondo il lessico modernista – all’intradosso condotti di scarico dipinti di rosso etc. – sono stati invece aggiunti in modo apparentemente casuale dei qualsiasi canali aperti zincati per le luci; l’allestimento curato da Pierre Verger e disegnato da Lina Bo stessa è stato alterato rispetto all’originale, anche inserendo opere di dubbio pregio etc.; le grandi palme nell’area esterna sono state sostituite con piccole piante in vaso etc. Credo che in vari luoghi del pianeta, Italia inclusa – e non perché Lina Bo vi nacque, ma perché la ricerca italiana sulla conservazione fa tuttora testo a livello internazionale – questa pur valida intenzione manutentiva non sarebbe accettata, dato l’esito.

Chiaro che concordo sull’opportunità che queste opere vengano vincolate da IPHAN. In più ritengo che per intervenire sulle opere di Lina Bo – così ricche di riferimenti interculturali – serva supporto scientifico per i materiali di ricerca necessari; in questo senso lo stesso Docomomo, con l’Istituto Bardi-Casa de Vidro, potrebbero avere un ruolo, consolidando l’eccezionalità di “Keeping It Modern”.

 

ACB: In effetti credo che questi interventi dimostrino mancanza di appropriata comprensione del lavoro di Lina Bo. Del resto, le sue scelte progettuali – da quelle più specifiche come la paglia intrecciata sulle colonne della Casa do Benin, ad altre più generiche, come l’uso della parete armata sottile [tecnologia di cassaforma a perdere sviluppata con l’ingegnere João Filgueras Lima, detto Lelè; nda] alla Ladeira da Misericordiao nel recupero del centro storico [Pelourinho] – rispondono non solo a questioni estetiche, ma anche tecniche e pure strategiche; esse sono legate alla conoscenza che Lina Bo aveva del ruolo dell’architettura nella città e nella vita dei cittadini. Purtroppo questo tipo di sapere non è stato considerato per gli interventi di cui abbiamo detto, qui a Salvador. Come è già emerso, credo che sia mancata delicatezza in questi interventi che né conservano debitamente l’esistente, né propongono inserimenti con qualità architettonica. Mentre entrambe le modalità sono necessarie per mantenere vivi gli edifici – cosa che era fondamentale per Lina Bo.

NVA: Sì, in effetti gli interventi realizzati direttamente dalla Prefettura di Salvador nella Casa do Benin sono decisamente discutibili… diciamo che almeno lo spazio è fruibile. Gravissimo è invece lo stato in cui versano gli interventi di Lina Bo nel complesso della Ladeira da Misericordia, forse il suo lavoro più importante a Salvador, tra quelli realizzati negli anni ‘80. In questo caso il ristorante Coaty è chiuso da anni e si sta deteriorando, mentre la contigua “rovina dei tre archi” [come Lina la chiamava] ha gravi problemi di infiltrazioni – così tutto si sta degradando, con gli altri tre immobili utilizzati solo in minima parte. Lo stesso accesso alla Ladeira è stato vietato dalla Prefettura, che l’ha chiuso con cancelli dopo avervi localizzato la “via di fuga” per i propri attigui uffici. L’ultima volta che è stato possibile visitare queste opere senza permessi speciali è stato due anni fa, per merito di un’installazione realizzata dall’artista Joãozito nel Coaty. Questo dimostra anche la mancanza di riconoscimento, da parte della Prefettura di Salvador, sia dell’importanza dell’opera di Lina Bo nel contesto dell’architettura mondiale, sia della rilevanza del progetto della Ladeira da Misericordia nel contesto della produzione dell’architetta italo-brasiliana.

 

Autore

  • Giacomo "Piraz" Pirazzoli

    Nato nel 1965, laureato in architettura a Firenze, PhD Roma-Sapienza e post-doc FAU-Universidade Mackenzie São Paulo. Dopo aver realizzato in Italia alcune architetture in collaborazione con Paolo Zermani, Fabrizio Rossi Prodi e Francesco Collotti, lavora in ambito interculturale tra musei, mostre e sostenibilità applicando le ricerche Site-Specific Museums e GreenUP - A Smart City che ha diretto, essendo dal 2000 professore associato presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze. Già presidente dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, è stato consulente presso ACE-CAE (Architects Council of Europe, Bruxelles), UN-UNOPS etc. Oltre che per mezzo di progetti, opere e relative conferenze, svolge attività internazionale anche come visiting professor e vanta oltre duecento pubblicazioni. Vive tra Firenze, l’Umbria e Rio de Janeiro.

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Last modified: 11 Luglio 2018