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Disertori e disobbedienti sullo schermo

Al Trieste Film Festival il 23 gennaio il documentario di Fredo Valla su chi si ribellò alla prima guerra mondiale

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TRIESTE. Quasi centomila disertori, migliaia di disobbedienti tra civili e soldati: in Italia furono in tanti a ribellarsi alla Grande Guerra. La Storia ufficiale, però, li ha dimenticati. A ricordarli arriverà al Trieste Film Festival (19/28 gennaio 2018) il bel documentario di Fredo Valla “Non ne parliamo di questa guerra”, un viaggio nella disobbedienza alla guerra dal Polesine a Torino, da Caporetto a Trieste, anche sulla linea del Timavo, quando 40 soldati si ammutinarono al progetto suicida di Gabriele D’Annunzio di superare la “Quota 28” per arrivare al Castello Duino.

Il documentario, prodotto da Nadia Trevisan per la Nefertiti Film di San Vito al Tagliamento con Istituto Luce, sarà proiettato al festival martedì 23 gennaio preceduto, alle 19, dall'incontro introduttivo "Uomini che dissero no" con il regista Fredo Valla e moderato dal giornalista e scrittore Pietro Spirito, che compare anche nel film.

Come nei suoi precedenti lavori, compreso “Medusa – Uomini sul fondo” sul sommergibile italiano affondato nel 1942 al largo di Pola, Valla unisce le testimonianze di storici ed esperti ad altre forme di rappresentazione artistica: in questo caso i brani della cantante goriziana Gabriella Gabrielli e del chitarrista Diego Todesco, e la pièce “Cercivento” di Riccardo Maranzana e Massimo Somaglino, più filmati d’archivio, provenienti dalla Cineteca del Friuli e dall’Istituto Luce. Documenti e fotografie sono invece tratti dal deposito di materiali dell’Archivio storico dello Stato Maggiore Esercito a Roma, «dove c’è un’enorme quantità di documenti di disobbedienza di vario tipo, dall’autolesionismo allo sparare in aria per protesta, dalle diserzioni alle rivolte, al buttare le armi», dice il regista.

Si tratta spesso di storie dimenticate: «Negli anni del centenario della Prima Guerra Mondiale si fa un gran parlare di eroismi e patriottismo, ma nessuno tiene conto di un aspetto molto ampio, quello della disobbedienza alla guerra, individuale o collettiva», afferma Valla. Un fenomeno dalle dimensioni importanti: «Dalle statistiche della professoressa Bruna Bianchi dell’Università di Venezia, che ha studiato il fenomeno, risultano circa 95mila disertori, più tutti i disobbedienti in generale. Su 5 milioni di mobilitati, 1 su 14 ebbe un procedimento penale e 1 su 24 subì una condanna. 750 sono stati i fucilati a seguito di un processo, senza contare le fucilazioni sommarie e non documentate».

L’esercito italiano fu particolarmente severo, l’unico, ad esempio, a riesumare una pratica propria delle legioni romane, la decimazione: «Quando non si trovava il colpevole, si contava fino a dieci e il decimo veniva fucilato. Ci sono stati anche episodi in cui fanti, che erano a casa in licenza nel momento della rivolta, hanno avuto la sfortuna di essere il decimo nella conta. La Francia e la Gran Bretagna hanno fucilato molti meno soldati, pur avendo 8-9 milioni di mobilitati».

Tra i ribelli un ruolo di particolare rilievo è stato ricoperto dalle donne, come nel caso della “rivolta del pane” del 1917 a Torino, dove si riusciva a mangiare solo pane nero fatto con l’aggiunta di segatura: «Lì la protesta delle donne si è trasformata in rivolta contro la guerra. E le donne spesso ospitavano i disertori nelle loro case, come succedeva soprattutto nel Polesine, a Ferrara e nel rovigotto, dove c’era un bracciantato agricolo molto forte e già politicizzato».

Un caso particolare è rappresentato da Trieste: «A Trieste l’interventismo viene presentato come un fenomeno vasto, invece fu estremamente marginale, limitato a un mondo di intellettuali che aspiravano a unirsi all’Italia», dice Valla. «La Grande Guerra è l’ultima guerra di unità nazionale: alla fine del conflitto bisognava creare un apparato di eroi e sacrari. Per rappresentare tutti i caduti senza nome, furono portate undici salme di soldati ignoti nella basilica di Aquileia con un’operazione di alta teatralità, e a scegliere quella destinata al Sacrario di Redipuglia fu scelta proprio la madre triestina di un irredento. La madre diventa la città, il territorio, con un significato mistico inoppugnabile».

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