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Quando Karl Marx vide nel porto di Trieste l’inizio della modernità

Duecento anni fa la nascita del grande pensatore Lo ricordano libri, saggi, spettacoli teatrali

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Il 5 maggio di duecento anni fa nasceva Karl Marx, il pensatore che più ha influenzato la storia del XX secolo. Poeta in anni giovanili, poi filosofo teorico del materialismo storico, economista che nel suo famoso Manifesto del Partito Comunista, uscito a Parigi nel 1848, in piena rivoluzione, offrì una fondamentale chiave di lettura dello sviluppo della società umana insieme alla speranza di riscatto per gli ultimi di questa terra, la sua figura giganteggia ancora sulla storia del mondo. Il materialismo storico è, per dirla con Marx stesso, «il primo presupposto di ogni esistenza umana, e dunque di ogni storia, il presupposto cioè per cui poter “fare storia” gli uomini devono essere in grado di vivere. Ma il vivere implica prima di tutto il mangiare e il bere, l’abitazione, il vestire e altro ancora. La prima azione storica è dunque la creazione dei mezzi per soddisfare questi bisogni, la produzione della vita materiale stessa… Senza tranquillità economica, insomma, non vi è produzione di idee sociali e tanto meno sviluppo sociale».

In quell’epoca i limiti delle grandi potenze dell’Europa occidentale si colgono con grande evidenza nei romanzi di Charles Dickens e di Emile Zola. Nell’Europa odierna molti si chiedono: “Quale democrazia, se non c’è giustizia sociale?” Nonostante le aberrazioni e le degenerazioni vissute nei loro paesi, molti abitanti dell’Europa orientale rimpiangono quel minimo di sicurezza garantito dal diritto al lavoro, a una casa, all’istruzione e alla sanità gratuita. Il comunismo reale ha dovuto fare i conti con la natura e i limiti dell’essere umano.

Marx, erede della cultura illuministica, ritenne che rimosse le cause della disuguaglianza sociale, l’individuo fosse pronto e ben disposto a sviluppare le proprie potenzialità culturali. La società consumistica doveva, purtroppo, creare altri problemi.

Nell’immensa produzione di Karl Marx, possiamo tuttavia cogliere ancora oggi molti elementi di attualità ed è quanto sta avvenendo nell’editoria italiana. In occasione del bicentenario Einaudi, infatti, dà alle stampe una nuova edizione critica del “Manifesto del Partito Comunista”; le edizioni Lotta Continua pubblicano l’opera Omnia in cinquanta volumi. Il teatro di Roma mette in scena dal 14 al 16 giugno, al teatro Argentina, con opportuni adattamenti, per la regia di Mario Lucchesi, musiche di Bob Dylan, la collaborazione della Treccani per la consulenza scientifica, “Il Capitale di Karl Marx” (quasi un vangelo apocrifo). Secondo Mario Lucchesi, l’opera fondamentale di Marx rimane un capolavoro, una pietra miliare del pensiero, anche oggi. Il crescente impoverimento della popolazione nei paesi industrialmente avanzati sta sotto gli occhi di tutti. La riduzione dell’individuo a pura merce, la cultura priva di risorse perché non è fonte di profitto, non può non ridare significato e presenza all’autore del Manifesto e del Capitale. Giordano Nardecchia, garante della serietà scientifica del progetto teatrale, reputa infatti che «il Capitale ci offre ancora una lettura lucida della realtà. Perché Marx parla con rigore scientifico, attraverso le categorie dell’economia – merce, forza lavoro, denaro, ricchezza – dell’insieme delle relazioni umane. Certo il mondo non è più lo stesso del 1867 quando il libro fu pubblicato, ma la connessione tra gli esseri umani avviene sempre nella sfera economica, non affettiva. E in questo Il Capitale ci dà perfino nuove chance».

E, a questo proposito, di estrema attualità e lungimiranza rimane l’analisi di Marx sul ruolo del porto di Trieste nel momento di piena espansione del porto franco, sulla sua posizione geopolitica, sull’importanza delle infrastrutture, ma anche sui fattori di crisi. Lo evidenziano due articoli pubblicati da Karl Marx sul New York Tribune rispettivamente il 9 gennaio ed il 4 agosto 1857. Il grande teorico, che fu anche eccellente storico ed economista, motiva il decollo del porto franco di Trieste sulla base di elementi precisi che dimostra di conoscere alla perfezione: «Da una piccola rada rocciosa, abitata da pochi pescatori: nel 1814, quando le forze francesi sgombrarono l’Italia, Trieste si era fatta porto commerciale, con 23.000 abitanti e il suo commercio superava tre volte quello di Venezia. Nel 1835, un anno prima che il Lloyd austriaco nascesse, contava già 50.000 abitanti e, poco dopo, occupava il secondo posto dopo l’Inghilterra, nel commercio con la Turchia, il primo nel commercio con l’Egitto».

«Perché Trieste e non Venezia? - scriveva Marx sul New York Tribune nel 1857 - Venezia era la città delle memorie; Trieste aveva, al pari degli Stati Uniti, il vantaggio di non possedere un passato. Popolata di commercianti e speculatori italiani, tedeschi, inglesi, francesi, greci, armeni, ebrei in variopinta miscela, non piegava sotto le tradizioni. Mentre il commercio veneziano dei cereali non usciva dai vecchi rapporti, Trieste allacciava il suo destino con la stella sorgente di Odessa, e al principio del secolo XIX, escludeva la rivale dal commercio mediterraneo dei cereali. Il colpo recato alle mitiche repubbliche mercantili d’Italia, alla fine del XV secolo, dalla circumnavigazione dell’Africa, si ripeté, attenuato, col blocco continentale di Napoleone».

A suo giudizio la superiorità di Trieste su Venezia dipende dal suo vasto retroterra. Mentre Venezia era stata sempre un porto isolato e lontano, cui «l’altrui generale inconsapevolezza aveva consentito di impadronirsi del traffico mondiale», la prosperità di Trieste deriva «dalle energie produttive e dei trasporti in quel gran complesso di paesi che sta nel dominio dell’Austria».

Grande è la considerazione di Marx sia per le navi austriache «di un cabotaggio quasi sconosciuto ai veneziani» sia per i loro equipaggi: «Un’ardita razza marinara che Venezia non seppe dare mai».

Mentre Venezia decadeva col rafforzarsi dell’impero ottomano, così Trieste saliva riuscendo ad allacciare il commercio orientale con quello dell’area danubiana. Il declino di Venezia dipendeva anche dallo spostamento del centro di gravità dei commerci in seguito alla circumnavigazione del Capo di Buona Speranza, che avvantaggiava Lisbona, l’Olanda e l’Inghilterra. L’apertura del Canale di Suez avrebbe rafforzato ulteriormente la posizione privilegiata di Trieste, di cui indica, per il triennio 1846-1848 / 1853-1855 un incremento commerciale del 68% superiore a quello di Marsiglia.

A suo giudizio un pericoloso freno a tale sviluppo è costituito dall’arretratezza del trasporto terrestre, che auspica venga superata dalla ferrovia Trieste-Vienna e dal tronco Cilli-Pest, in grado di conferire a Trieste l’importanza di Marsiglia, Bordeaux, Nancy e Le Havre nel loro insieme. Ampio è il riconoscimento del lavoro svolto dal Lloyd austriaco, di cui conosce la storia e lo sviluppo.

Napoleone, scrive ancora Marx, aveva sognato qualcosa di simile puntando su Venezia ed Anversa, ma aveva dovuto fare i conti con un’ingegneria navale ed una tecnica militare inadeguate alle nuove esigenze, così come lo era il porto di Venezia che «ottimo per le vecchie galee, mancava di profondità per i moderni navigli di linea; le fregate non vi entravano senza scaricare l’artiglieria, quando il vento di sud e le maree non aiutavano. Ora la possibilità di entrare con tutta la flotta è condizione vitale per tutti i porti di guerra». E dopo aver rilevato tutte le condizioni favorevoli al decollo dell’impero d’Austria come potenza marittima nell’Adriatico, nei suoi articoli il pensatore sembra già intuire i motivi strutturali e profondi che ne avrebbero determinato la dissoluzione: «Se l’Austria con l’organizzazione e con il governo attuali diverrà grande potenza marittima e commerciale, smentirà tutte le tradizioni storiche che attribuiscono ogni prosperità marittima alla libertà». ©

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