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“Migrazioni” chiude con 60mila presenze poi tocca alle “Famiglie”

Annunciato il tema del festival di Gorizia per il 2019 Tra gli ultimi incontri un focus sul destino dell’Africa

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inviato a GORIZIA. Dopo le Migrazioni, le Famiglie. Sarà questo, “Famiglie”, il tema del festival èStoria di Gorizia del prossimo anno (dal 23 al 26 maggio 2019), come è stato annunciato ieri al termine della quattordicesima edizione della rassegna che registrato numeri record: 60mila presenze, con oltre un milione di persone che hanno seguito i cento eventi trasmessi in diretta streaming sul sito www.estoria.it e su Facebook. In particolare, hanno detto gli organizzatori, «su Facebook il festival ha avuto una copertura di oltre 900mila persone raggiunte e 850mila interazioni, mentre su Twitter ha raggiunto 200mila persone con 80mila interazioni». Ce n’è abbastanza per spingere l’ideatore e direttore del festival, Adriano Ossola, ad allargare il raggio d’azione: «Stiamo valutando - ha annunciato - di ampliare lo spettro dei contenuti aprendo a tutti i modi con i quali si fa e si dice la storia: dalla precisione della ricostruzione storiografica alla creatività narrativa e ai linguaggi e orizzonti più vari; penso in particolare alla letteratura, alle serie tv e al graphic novel storico». E di un «tutto esaurito» per quest’anno hanno parlato anche il sindaco di Gorizia Rodolfo Ziberna e l’assessore comunale alla Cultura Fabrizio Oreti, che hanno sottolineato di stare «lavorando tanto per essere riconosciuti come patrimonio regionale della cultura e della storia». Insomma il festival èStoria incassa bene rilancia, forte anche delle sperimentazioni di quest’anno: la prima “trasferta”, con un appuntamento di presentazione a fine aprile, alla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli a Milano, dove la storica Donatella Di Cesare ha anticipato alcune riflessioni sul concetto di migrazione e di straniero, e le due proiezioni della sezione èStoria Cinema nei giorni immediatamente precedenti l’apertura del festival.

E in attesa di vedere come sarà sviluppato il tema delle “Famiglie” il prossimo anno, ieri buona parte degli incontri conclusivi della rassegna hanno ruotato ancora intorno alle Migrazioni - tema di questa edizione - a partire dal continente dove tutto è cominciato, l’Africa. In particolare la direttrice emerita del Centro di Ricerche Internazionali Sciences Po di Parigi, Catherine Wihtol De Wenden, Alfredo Mantica, già sottosegretario agli esteri dal 2001 al 2011 con deleghe all’Africa subsahariana e cooperazione, e l’antropologa Alice Bellagamba, hanno riportato l’attenzione sui flussi migratori all’interno e a partire dall’Africa. Perché la realtà africana è molto più complessa di quanto la nostra percezione dei flussi migratori ci spinga a pensare: «L’Africa sta crescendo - è stato detto -, è un mercato di grandi potenzialità su cui già da tempo ha messo gli occhi la Cina». «Contrariamente a quanto si possa pensare - è stato ancora osservato - un africano su due migra all’interno della stessa Africa, sulla spinta di una realtà quanto mai frammentata dove guerre e calamità ambientali sono solo una parte delle cause». La migrazione interna è di fatto anche alimentata da squilibri della forza lavoro: «Ci sono Paesi in calo demografico che hanno bisogno di manodopera e altri che hanno un eccesso di popolazione; il profilo demografico dell’Africa subsahariana non è quello del Maghreb, dove la popolazione ha subito un calo demografico del 50%, con 2,5 figli per donna, mentre nelle regioni subsahariane la percentuale è ancora di sette figli per donna, mentre la Nigeria da sola è un gigante demografico da 200 milioni di abitanti». I Paesi del Golfo da una parte, e il Sudafrica dall’altra, accolgono buona parte di una mobilità interna le cui motivazioni se da un lato sono diverse, da un punto di vista socioculturale hanno una base comune: «Gli africani - ha osservato Catherine Wihtol De Wenden - tradizionalmente contano su una molteplicità di reti sociali che li portano a considerare la mobilità come un’opzione tutt’altro che occasionale: tutti si considerano un po’ degli Ulisse, quasi tutti i giovani danno per scontata l’opzione migratoria». Tanto che ormai le rimesse degli immigrati, cioè i soldi inviati a chi è rimasto dai lavoratori espatriati, «almeno per alcune aree specifiche sono un nesso economico imprescindibile per la stabilità e crescita dell’economia locale». È stato calcolato che solo dalla Francia in un anno piovono in Africa 460 milioni di dollari di rimesse. Perché non sempre a spingere i migranti sono le emergenze: «Anche solo l’incertezza politica, economica, sanitaria e ambientale è sufficiente per alimentare un sistema di partenze e rientri basato sulle rimesse, che diventano un’assicurazione contro condizioni di vita incerte».

In tutto questo movimento la scelta di lasciare il continente africano per sbarcare in Europa rimane una scelta minoritaria per gli africani: «I 32mila morti nel Mediterraneo dal 2000 ad oggi, e le condizioni terrificanti in cui si svolge la tratta, con violenze di ogni genere e spesso la riduzione in schiavitù nei campi di raccolta della Libia, sono un monito sufficiente a rendere l’emigrazione fuori dal continente africano un’opzione estrema». Del resto è ancora una volta l’indice demografico a segnare una tendenza - quella migratoria verso l’Europa - che non potrà diminuire: «In Africa l’età media è di 17 anni, in Europa di 47, non ci vuole molto a capire dove pende la bilancia». Tuttavia, hanno concluso i relatori, «pensare di affrontare questo problema solo come fosse una questione economica o di sicurezza è del tutto fuorviante: bisogna riflettere su un mondo che sta cambiando e anzi è già cambiato: ad esempio il matrimonio del principe Harry con Meghan Markle - la Casa reale britannica che apre le porte a quelli che possono essere considerati gli ex sudditi delle colonie - è un forte segno dei tempi».

Di Africa si è parlato anche negli incontri dedicati a “Libia, tra caos e controllo” e “L’Italia in Niger”(Marco Bertolini, Ugo Trojano, Gianandra Gaiani, Riccardo Pelliccetti), mentre vanno messi a bilancio dell’intero festival anche il tutto esaurito per gli accademici Elena Isayev e Gino Bandelli, che hanno rievocato le migrazioni ai tempi dell’Impero Romano, per l’esperto di storia militare Nic Fields che, insieme al direttore del Churchill College dell’Università di Cambridge Jerry Toner ha ricostruito le “migrazioni” degli eserciti nell’Antica Roma, e per l’incontro di Toner che ha svelato al pubblico come vivere al modo degli antichi romani. Gremiti gli appuntamenti con lo storico Philip Mansel e Fausto Biloslavo su Aleppo e la guerra civile in Siria, e con il filosofo e politologo Julian Nida-Rümelin, che ha discusso di scuola, educazione, populismo e integrazione.

Posti al completo anche per la riflessione sulle “armi di migrazione di massa” con Kelly Greenhill e Loretta Napoleoni, e per quella sul fondamentalismo islamico con lo scrittore algerino Boualem Sansal e il sociologo Stefano Allievi, come anche per il matematico Piergiorgio Odifreddi, che con Pierluigi Celli ha messo a fuoco un altro tipo di migrazione, quella dei “cervelli in fuga”. Tra storia e attualità pubblico assiepato per scoprire i segreti della morte di Hitler con Thomas Weber e Jean-Christophe Brisard, e per seguire la ricostruzione dell’Iran degli ayatollah offerta da Michael Axworthy, dalla prospettiva rivoluzionaria, mentre Farian Sabahi si è concentrata sulla difficile appartenenza a più fedi.

Un pubblico numeroso ha poi ascoltato l’attivista Tareke Brhane ragionare su un luogo simbolo della migrazione nel Mediterraneo – Lampedusa – insieme al sindaco Salvatore Martello, e l’analisi sulle leggi razziali condotta da Elena Loewenthal e Michele Sarfatti, come pure il focus sulle crisi globali proposto da Sergio Romano e Antonio Carioti. Il prossimo anni si replica con le “Famiglie”.

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