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Cavazzoni e Janeczek nella cinquina del Campiello 2018

È stata votata ieri mattina a Padova, nell’aula magna dell’ Università, la cinquina del Campiello, edizione numero 56. La giuria dei letterati – presieduta quest’anno dall’ex magistrato Carlo Nordio...

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È stata votata ieri mattina a Padova, nell’aula magna dell’ Università, la cinquina del Campiello, edizione numero 56. La giuria dei letterati – presieduta quest’anno dall’ex magistrato Carlo Nordio – ha definito i seguenti vincitori, tra i quali a settembre una giuria popolare di trecento lettori sceglierà il “supervincitore” . In prima votazione sono entrati: Helena Janeczek, La ragazza con la leica (Guanda) con 9 voti; Ermanno Cavazzoni, La galassia dei dementi (La Nave di Teseo) con 6 voti; Davide Orecchio, Mio padre la rivoluzione (minimum fax), con 6 voti. Dopo una seconda votazione andata a vuoto, al terzo scrutinio è entrato in cinquina Francesco Targhetta, Le vite potenziali (Mondadori), 6 voti. E infine – tramite ballottaggio, come da regolamento, tra i libri più votati nelle precedenti tornate – Rossella Postorino, Le assaggiatrici (Feltrinelli), 6 voti. Al ballottaggio sono andati sotto, invece, Giorgio Falco con Ipotesi di una sconfitta (Einaudi) e il pordenonese Gian Mario Villalta con Bestia da latte (Sem).

Il libro della Janeczek, già nella dozzina dello Strega, racconta, nella Francia degli anni’30 del’900, la figura di Gerda Taro, collega e compagna di Robert Capa, la prima fotografa caduta su un campo di battaglia, sullo sfondo dell’ascesa del nazismo. Invece Cavazzoni, tra funamboliche citazioni mitologiche e vicissitudini deliranti, offre un’opera di fantascienza ironica, sfrenata e surreale, dove un futuro inquietante ci appare, in realtà, stranamente familiare. Il libro di Orecchio è una raccolta di racconti, ritratti, biografie impossibili e reportage di viaggio attorno alla storia e al mito della Rivoluzione russa, dai protagonisti dell’ottobre 1917 (Lenin, Stalin e Trockij) a personaggi minori ma non per questo meno affascinanti. Attraverso lo sguardo di un gruppo di trentacinquenni che cercano di costruirsi un futuro, Targhetta ritrae il nostro presente in continuo divenire. La Postorino, infine, ispirandosi alla storia vera di Margot Wölk (assaggiatrice di Hitler nella caserma di Krausendorf) racconta la vicenda di una donna in trappola di fronte alla violenza della Storia. Prima della votazione, è toccato a uno dei giurati, Lorenzo Tomasin, tracciare il quadro dell’annata letteraria appena trascorsa. Un intervento, il suo, piuttosto duro, ma che ha avuto il merito di mettere a fuoco alcune oggettive criticità dell’odierno sistema editoriale. «Assistiamo - ha detto lo studioso (docente di Filologia romanza) - a una produzione compulsiva da parte delle case editrici, alla quale corrisponde poche volte una qualità adeguata. Per parte sua, anche la critica letteraria sembra essere entrata in una crisi profonda, non essendo più capace di indicare precisi valori letterari. Ciò che colpisce in molta della produzione attuale è l’assenza di uno stile. L’italiano di molti romanzi che ci siamo trovati a leggere è una lingua più editoriale che letteraria: un italiano medio, standard, incolore, inodore, insapore, e dunque parecchio monotono. Insomma, un italiano da scuola di scrittura, emblematico di libri in cui c’è molta più attenzione alla trama che allo stile. Tra i generi, prevale spesso l’autofiction, che è la forma letteraria del selfie. Mentre appare scarsa la capacità della narrativa italiana odierna di approfondire spazi inseplorati del reale attraverso sguardi inediti e, al limite, anche spiazzanti». Sempre ieri è stato annunciato il premio opera prima, andato a Valerio Valentini per Gli 80 di Camporammaglia (Laterza), romanzo che prende spunto dal terremoto dell’Aquila del 2009. L’appuntamento ora è al Teatro La Fenice di Venezia sabato 15 settembre, per incornare il “supervincitore” di questo Campiello 2018.

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