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Quel che resta della gemma Siria

L’opera di Gerhard Schweizer tradotta da Budinich

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Terra splendida e disgraziata, la Siria, uno dei capisaldi religiosi del cristianesimo delle origini, poi gemma dell’islam, teatro delle crociate, area tra le più importanti per lo scisma tra sciiti e sunniti, ma anche paese di origine del nazionalismo arabo e uno dei primi dove nazionalisti laici e fondamentalisti islamici hanno generato la miscela esplosiva culminata con il regime di Assad. Questo territorio fu per secoli unito dalla forza religiosa delle sue grandi città, dall’attrazione culturale esercitata dai cenacoli dei sapienti che si riunivano all’ombra dei freschi giardini di Damasco, dove il minareto e la croce convivevano l’uno accanto all’altra.

Da Palmira, l’antica Sposa del Deserto, oasi di carovanieri in marcia sulla via di Damasco, dove Paolo venne folgorato dalla conversione, alla vicina Antiochia, dove il termine ebraico masiach venne tradotto per la prima volta nel greco christos e da allora i seguaci di Gesù si chiamarono cristiani, la Siria, costellata di chiese paleocristiane, possiede una serie di sorprendenti testimonianze della coabitazione islamico-cristiana. Meglio sarebbe dire possedeva perché con la guerra scoppiata nel 2011 molte vestigia che trasudavano storia sono andate perdute, come il tempio dedicato alla divinità mesopotamica Bel, divenuto una chiesa bizantina e successivamente trasformato dagli arabi in una moschea, distrutto con l’esplosivo dai terroristi dello stato islamico.

Ora la faccia della Siria è quella dei cinque milioni e mezzo di rifugiati, delle 350 mila vittime, di cui quasi 20 mila bambini e oltre 12 mila donne, tanto sono costati sette anni di conflitto. La Siria prima e dopo la devastazione è quello che racconta il libro di Gerhard Schweizer “Capire la Siria. Storia, società, religione” (Beit, 457 pagg., euro 20), un poderoso approfondimento uscito in Germania nel 2015, che sarà presentato oggi alle 18 al Caffè San Marco da Fabiana Martini e Michela Cerruti.

L’autore, quasi ottuagenario e molto prolifico studioso delle culture (ha all’attivo oltre una ventina di libri), ha viaggiato e soggiornato a lungo nei paesi della Mezzaluna fertile e con cognizione di causa illustra la storia millenaria della Siria e ricostruisce le profonde linee di faglia culturali che la attraversano.

Ne emerge un quadro ragguardevole, in cui alla ricca parte, la più sostanziosa, dedicata alla storia e alla religione, scritta negli anni Novanta, sono stati aggiunti due cospicui capitoli dedicati agli ultimi anni, quelli che hanno reso la Siria una polveriera. Il risultato è un’opera che permette di orientarsi in mezzo al caos siriano.

Per capire la Siria, scrive nella prefazione il traduttore Piero Budinich, bisogna chiedersi «perché noi italiani ed europei abbiamo sostenuto per decenni il regime degli Assad, che della distruzione sistematica del proprio popolo ha fatto il principio fondante della tradizione famigliare». Quello che resta della Siria se lo sono spartiti Turchia Iran e Russia nella conferenza di Soci, dalla quale i paesi occidentali sono stati esclusi. Erdogan e Putin hanno le carte migliori di una partita strategica ed economica, dalle rotte del gas nel Mediterraneo orientale alle nuove “vie della Seta”, ferroviarie, autostradali, marittime e portuali, in mano agli investimenti cinesi.

Si dice che Aleppo, in arabo halab, si chiami così perché Abramo vi avrebbe munto le pecore e le capre e distribuito il latte ai poveri. ‘Ibrahim halab’ vuol dire ‘Abramo ha munto’, ma oggi di tutta la Siria si potrebbe dire che è stata prosciugata.

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