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Chi era il cardinale Richelieu nemico dei Moschettieri e padre dell’Europa moderna

Nel libro di Rosario Romeo il discusso du Plessis anticipa lo Stato nazionale contro l’universalismo degli Asburgo

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il personaggio



Athos, Porthos, Aramis duellano con le arcigne guardie del Cardinale, strenuo nemico dei tre moschettieri. La regina Anna, consorte di Luigi XIII, coltiva una liason con il duca di Buckingam, favorito del re inglese Carlo II. Mentre il marito Luigi XIII assedia la roccaforte ugonotta di La Rochelle, l’ultimo baluardo del protestantesimo francese. Molto Alexandre Dumas contribuì alla mediazione romanzesca (negativa) che il giovane lettore italiano aveva del cardinale e duca di Richelieu, protagonista del Barocco politico europeo. Non fu l’unico scrittore dell’Ottocento transalpino a maneggiare la discussa fama del prelato, che attirò anche Victor Hugo e Victor de Vigny.

Anche lo schermo, grande e piccolo, non rimase immune dal fascino, cinico e spregiudicato, del Cardinale, a cominciare dai muti diretti negli anni Dieci da Auguste Valmy e Allan Dwan fino ai feuilleton televisivi degli ultimi decenni.

Invece la cultura italiana non si è mai troppo sforzata per Armand-Jean du Plessis, cardinale di Richelieu, nato nel 1585 e morto nel 1642. A principiare da quella storiografica. E quel poco si deve quasi sempre a rimbalzi traduttivi, come nel caso della biografia di Carl Burckhardt o del parallelismo “plutarchesco” che John Elliott dedicò al Cardinale e al suo degno nemico, lo spagnolo duca di Olivares.

Eppure anche al pubblico italiano di Richelieu qualcosa dovrebbe importare. Anzi, molto. Lo spiegava Rosario Romeo, uno dei maggiori interpreti del Risorgimento e dell’Italia post-unitaria, grande biografo di Cavour (“Richelieu. Alle origini dell’Europa moderna”, Donzelli, pagg. 168, 28 euro). Ma perchè lo studioso del “nation building” italiano si cimentò su una personalità come Richelieu, che visse due secoli prima del suo “core business” di ricerca? Nulla di casuale. Agli inizi degli anni Sessanta, in un corso per i suoi studenti della Sapienza, Romeo presentò il Cardinale in quanto anticipatore e, in una certa misura, creatore di quello stato assoluto a carattere nazionale, che a metà del XVII secolo s’impose sul disegno universalistico degli Asburgo madrileni e viennesi.

Un modello quello di Richelieu che prevalse nella pace di Vestfalia firmata nel 1648 a chiudere il tragico capitolo della guerra dei Trent’anni, avendo posto le basi dell’ordinamento istituzionale giuridico e politico su cui l’Europa campò fino alla stagione delle guerre mondiali. «Il particolarismo nazionale - scrive Romeo - nasce proprio dalla guerra dei Trent’Anni e dall’azione politica di Richelieu». «Se noi abbiamo conosciuto - incalza la prosa dello storico siciliano - un’Europa quale è stata quella del XVII secolo fino ad oggi, caratterizzata dalla presenza di Stati considerati come fini assoluti, non subordinati a nessuna autorità superiore, ciò si deve al fatto che nella battaglia allora combattuta il particolarismo rappresentato dagli Stati nazionali, come la Francia, l’Olanda, la Svezia, l’Inghilterra, ha prevalso sull’idea universale rappresentata dagli Asburgo».

Se le maestà cattoliche asburgiche uscirono ridimensionate dalla guerra dei Trent’Anni, se il loro progetto imperiale di egemonia europea non riuscì a imporsi, furono invece la Francia e le potenze protestanti settentrionali a improntare il destino politico continentale - e non solo - in un saliente temporale decisivo come quello di metà ’600.

Perchè quell’impronta dall’essenziale connotato nazionale - per questo interessò Romeo - produsse risultati duraturi nel contesto storico europeo: se Francia, Inghilterra, Olanda e in un secondo momento Prussia maturarono una loro missione politico-militare-economica, chi rimase indietro in questo processo di razionalizzazione statuale furono Italia e Germania, che solo due secoli più tardi riuscirono a superare la frammentazione territoriale e a divenire esse stesse nazioni. Un po’ in ritardo. —

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