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I Nidi d’Arac presentano al Miela il loro “Face B” dall’anima parigina

Venerdì il concerto con i brani del nuovo disco. Il frontman Alessandro Coppola «Parliamo di convivialità e di un razzismo becero che rinneghiamo»

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«Non usciva un nostro album da due anni, per i ritmi della musica oggi (almeno un disco all’anno), sembriamo in ritardo. Io mi rifiuto di fare così velocemente perché penso serva una grande riflessione prima di fare musica, il nostro è un progetto in cui la ricerca è importantissima»: il frontman Alessandro Coppola annuncia così “Face B” (“lato b” in francese) il nuovo lavoro dei suoi Nidi d’Arac che verrà presentato venerdì alle 21.30 al Miela (primo appuntamento della stagione Miela Music-Live), proprio nel giorno dell’uscita. Un disco che nasce dall’esperienza del cantante a Parigi, dove vive da nove anni e dove è venuto a contatto con la trap e l’afro trap lavorando in un centro dedicato ai giovani a rischio e basato sull’Educación popular, un ramo della pedagogia volto all’apprendimento durante la pratica, nel contesto urbano di provenienza.

Coppola, l’influenza dell’afro trap è la novità di “Face B”?

«Ho voluto condividere questa mia esperienza parigina con i compagni di band che non vivono qui. Conosco molto bene questo genere perché ci lavoro, accompagno dei giovani artisti a Parigi (sono stato ingaggiato dal Comune) e molti di loro fanno trap. Con la produzione dei nuovi brani abbiamo adattato al nostro suono anche questo genere, architettando una sonorità nuova, che è autentica e frutto di sperimentazione».

C’è un filo tematico?

«Parigi è una città molto africana, il rap e la trap nascono nei grandi centri urbani da un movimento africano, come succede per il blues, il soul. Il rap nasce nei ghetti neri e viene poi occidentalizzato dai bianchi e in questo momento l’Italia come l’Europa sta vivendo un bruttissimo fenomeno di razzismo, un momento di non accoglienza e integrazione. Abbiamo voluto dare il nostro contributo e quindi parliamo di convivialità e di un razzismo becero che ovviamente rinneghiamo».

Il tour parte da Trieste.

«I Nidi nascono a Lecce, all’estremo Sud-Est, Trieste è all’estremo Nord-Est, a livello energetico mi sembra una buona asse per partire. Ho un bellissimo ricordo del Miela dove abbiamo già suonato, ricordo una città stupenda dove la cultura ha una certa importanza e un pubblico molto caloroso, predisposto alla ricezione il che rende la comunicazione piacevole».

Sul palco?

«Oltre a me e al bassista Edoardo Targa, ci sono i più giovani Federico Leo alla batteria e Sebastiano Forte alla chitarra. Torna la nostra violinista storica H.e.r. (Erma Castriota), ci lasciò nel 2000, ha avuto la sua carriera solista e a distanza di vent’anni ci ritroviamo con molta più esperienza e consapevolezza».

Dal Salento si era spostato a Roma e infine in Francia.

«Resta il mio legame con l’Italia e con il dialetto salentino, usato come sempre nei testi».

L’uso del dialetto in musica non è così diffuso.

«Tranne la parentesi napoletana, per me un riferimento di altissimo valore (da Carosone fino a Pino Daniele, Enzo Avitabile). E negli anni Novanta, quando abbiamo esordito noi, era una cosa abbastanza comune: dai conterranei Sud Sound System agli Almamegretta, Agricantus, 24 Grana, 99 Posse, Mau Mau; ha caratterizzato uno sviluppo della world music italiana molto importante. l’Italia era all’avanguardia, si parlava di “glocal”: partivamo dal nostro paesino per arrivare al mondo». —



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