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Sei ore di udienza. E lui, don Paolo Piccoli, impassibile dall’inizio alla fine. Anche quando l’ex capitano dei carabinieri che in passato aveva condotto le indagini con il supporto dei Ris di Parma, Fabio Pasquariello, ha svelato un dettaglio inedito dell’inchiesta: dal pc sequestrato al sacerdote sono spuntate immagini pornografiche.

Tra file compromettenti, telefonate minacciose e lettere anonime, nell’udienza di ieri non sono mancati i colpi di scena. Ed è la prima volta che Piccoli, accusato dell’omicidio del novantaduenne monsignor Giuseppe Rocco avvenuto nella Casa del clero di via Besenghi la mattina del 25 aprile 2014, compare in tribunale. Il prete inquisito si è accomodato tra i suoi due legali, gli avvocati Stefano Cesco e Vincenzo Calderoni. Ieri erano in programma due testimonianze chiave del processo: oltre che l’ex comandante dei carabinieri, è stata sentita la perpetua del monsignore ucciso, Eleonora Dibitonto. L’udienza è stata seguita dalla trasmissione “Un giorno in pretura”.

I file porno Le immagini rinvenute dagli investigatori nel computer di don Piccoli (originario di Verona, ordinato all’Aquila e vicino di camera del religioso ucciso) forse non aggiungono nulla all’impianto accusatorio dei pm Matteo Tripani e Lucia Baldovin. Ma Pasquariello, incalzato dai magistrati, non ha esitato a rendere noto il dettaglio. Un aspetto contestato da uno dei due legali del prete imputato: l’avvocato Calderoni ha chiesto al giudice Filippo Gulotta (Enzo Truncellito a latere e sei giudici popolari) che la rivelazione del carabiniere non compaia negli atti.

Il sangue Quella mattina era stata la perpetua di don Rocco, Eleonora Dibitonto, ad allertare i soccorsi. Il corpo del novantaduenne era riverso a terra. Dal suo collo mancava la catenina con i ciondoli sacri. Ieri è stata fatta sentire in aula la registrazione della telefonata al 118. Sulle prime sembrava morte naturale; ma dall’autopsia del medico legale Fulvio Costantinides, che il pm Tripani aveva ordinato dopo poche settimane dal decesso del prete, era stata riscontrata la rottura dell’osso ioide all’altezza del collo. Gli altri esami sul cadavere avevano rilevato la presenza di lesioni riconducibili a un’azione violenta. L’imputazione a carico di Piccoli parla di «omicidio volontario per soffocamento e strozzamento» e di «decesso per asfissia». Il processo sembra incanalarsi verso un punto ben preciso: il sangue di don Piccoli rintracciato sul letto della vittima. L’indagato afferma che in quel periodo soffriva di una forte irritazione al braccio sinistro; «mi prudeva e sanguinavo», così ha detto don Piccoli. Gocce che l’imputato avrebbe disgraziatamente rilasciato sul giaciglio della vittima durante la cerimonia di benedizione del cadavere, avvenuta subito dopo la constatazione del decesso. «Mi colava sangue - dice proprio il sacerdote in una conversazione intercettata dagli investigatori - può darsi che facendomi leva (sul letto, ndr) essendomi io inginocchiato presso il morto e rialzato, può essere rimasto quello...». Pasquariello lo ha smentito: «Gli accertamenti clinici e le testimonianze hanno dato esito negativo». Dibitonto ha peraltro riferito che Piccoli non si era posizionato in prossimità del letto e che quella mattina indossava una veste che gli copriva l’arto fino al polso. Ma i legali dell’imputato hanno messo in rilievo una contraddizione della teste: la perpetua aveva dichiarato di ricordare i segni ematici, sebbene in un precedente verbale avesse affermato di essere entrata, quella mattina del delitto, in una stanza buia.

Le minacce Dibitonto ha menzionato una telefonata minatoria del 30 aprile, proprio il giorno in cui era stato sospeso il funerale di don Rocco, a causa dei sospetti che ormai iniziavano ad addensarsi attorno al decesso dell’anziano. «Putt...di mer...anche tu devi morire, questo mi sono sentita dire», ha spiegato la donna in udienza. Ma a detta dell’avvocato di don Piccoli, Calderoni, la teste ha riferito di una telefonata «inventata». Manca una conferma dai tabulati. In attesa di verifiche pure una presunta lettera anonima e dai toni minacciosi recapitata a don Piccoli; secondo le perizie grafologiche disposte dai legali dell’imputato, si tratterebbe della scrittura di Dibitonto. Il giudice Gulotta ha chiesto l’acquisizione dell’originale.

I furti e la bestemmia Oltre alle immagini porno, dalle indagini sono emersi altri aspetti dubbi sulla figura di don Piccoli: una bestemmia intercettata in una conversazione telefonica e la questione furti. I carabinieri avevano sequestrato al sacerdote un ostensorio, risultato rubato da ignoti in una parrocchia dell’Aquila, diocesi in cui l’imputato aveva operato. E alcuni giorni prima del delitto, inoltre, dalla stanza di Rocco sarebbero scomparsi alcuni oggetti di valore sacro o comunque simbolico. Lo stesso don Rocco ne avrebbe denunciato la scomparsa in Curia, inserendo proprio don Piccoli tra i sospettati; il sacerdote indagato avrebbe peraltro ricevuto dalla direzione del Seminario una lettera di richiamo. Le statuette sarebbero improvvisamente rispuntate nella stanza della vittima qualche giorno dopo l’assassinio.

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