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L’antica soffitta del Volta di Trieste tra decorazioni e polvere

Era il luogo in cui a fine ’800 un migliaio di ragazzi coltivava i propri sogni frequentando l’ambitissima Scuola per capi d’arte. na volta finita la Grande Guerra molte opere lì custodite furono trafugate e addirittura defenestrate nel nome dello spirito antiasburgico

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TRIESTE Immaginate una scrivania, alcuni banchi da lavoro e l’ambizione degli studenti a conseguire il titolo di “maestro d’arte”. Aggiungeteci poi una soffitta di quasi 700 metri quadrati, alcuni insegnanti famosi e tornerete indietro nel tempo di oltre un secolo. Sintetizzando potrebbe essere questo l’inizio della storia della soffitta del Volta, un luogo oggi completamente abbandonato e oggetto di particolare degrado, tanto da suscitare l’attenzione del Fai. Proprio durante le due giornate dedicate nel weekend alla scoperta di alcuni esempi di bellezza urbana da rivalorizzare, i volontari del Fai hanno lanciato il loro grido d’aiuto affinché la soffitta non si trasformi in polvere. «La struttura è inagibile, con assi del pavimento in uno stato di grave incuria. Abbiamo voluto esprimere la nostra richiesta di aiuto proprio perché non vada perduta la memoria di una soffitta estremamente importante per la storia della nostra città», così Chiara de Manzano, professoressa di Lettere al Volta e socia Fai. La soffitta in effetti possiede una storia unica nel suo genere. In questo spazio esisteva l’antica scuola triestina di disegno che poteva vantare tra i suoi membri personaggi del calibro di Carlo Wostry, Alfonso Canciani, Lannes Mario, Marcello Mascherini, Eugenio Scomparini e molti altri. La sezione che operava nella soffitta era rappresentata dalla Scuola per capi d’arte.



«Qui dentro esisteva il laboratorio per il restauro di mobili di legno e soprattutto era il luogo deputato a ospitare le prove d’esame», racconta sempre de Manzano. «Tutto ciò che si vede attorno e sulle pareti è basato su una precisa tecnica pittorica chiamata stereocromia, che non deve essere confusa con l’affresco». Era infatti un metodo per dipingere gli esterni e le facciate dei palazzi, mentre in questo caso si era all’interno della soffitta. «Utilizzavano sabbie e colorazioni particolari che potessero aderire a pareti soggette a umidità e pioggia. Questo è uno dei motivi principali per cui le decorazioni sono ancora in discreto stato», afferma de Manzano.

Ascoltando questa storia emergono suggestioni uniche, narrazioni che confinano con le leggende, nuvole di wattiana memoria, vapore capace di restituire ai triestini d’oggi una Trieste scomparsa. «Non vogliamo che questa soffitta venga dimenticata – continua de Manzano – anche perché essa ha ospitato i grandi dell’arte triestina. Pensate che sono state trovate le cassette da frutta contenenti tutto ciò che aveva a che vedere con il laboratorio e le prove d’esame». La Scuola per capi d’arte fu uno dei pilastri dell’istituto che, prima di essere intitolato ad Alessandro Volta, portava il nome di Triest K.K. Staats Gewerbeschule (ove traduzione vorrebbe una Scuola Industriale dello Stato, ndr). Era stata istituita nel 1887 e già l’anno successivo contava 487 alunni, che raddoppiarono nel 1893. «Il terzo piano, vale a dire anche la soffitta – raccontano alcuni studenti del Volta che hanno vestito i panni dei Ciceroni – è stato realizzato anche per la necessità di ampliamento dei locali, vista l’elevata domanda da parte della cittadinanza».

I lavori furono guidati dal maestro Enrico Nordio (con la collaborazione del Lonza e del Boccalini, ndr) che decise lui stesso per l’aggiunta dell’impalcatura riguardante la soffitta. «Alla fine della Prima guerra mondiale moltissimi oggetti vennero trafugati, rubati, addirittura defenestrati – racconta de Manzano – nel nome dello spirito antiasburgico che si era venuto a creare in città, specie con l’avvento del fascismo. Il Volta, dopo la Seconda guerra mondiale, si trasformò sempre di più in quello che è oggi, e la Scuola per capi d’arte venne soppiantata anche dalla creazione dell’Istituto d’arte. Nella soffitta non vi sono stati realizzati lavori dopo gli anni Trenta del secolo scorso. La Scuola per capi d’arte fu una delle vittime del nuovo ordinamento imposto dal regime fascista, dove invece in capitali europee come Vienna e Praga esse resistevano».

«I disegni che venivano realizzati dagli studenti venivano sfruttati anche da maestri della cartellonistica pubblicitaria come Dudovich – afferma uno studente-guida del Volta – soprattutto in virtù del bisogno di concepire il lavoro artistico e creativo su una base seriale. Sono gli anni in cui si inizia a ragionare su scale diverse, quasi in catena di montaggio». E proprio gli studenti del Volta coordinati dalle professoresse Patrizia Martini e la stessa de Manzano, con la regia della professoressa Elisabetta Gustini, all’auditorium della scuola hanno messo pure in scena uno spettacolo dal titolo “Viva el Baron”, chiaro riferimento alla figura del barone Revoltella che aveva fortemente voluto l’istituzione della scuola. Il sottotitolo riporta la dicitura: “Una soffitta, un delitto, ma nessun cadavere, un’indagine ma nessun colpevole, se non, forse, la poca attenzione per la propria storia”. «È la nostra provocazione – conclude de Manzano – perché si faccia qualcosa per salvaguardare la memoria di questa soffitta e di questa città». La palla ora passa nelle mani di quelle istituzioni che spesso litigano sul da farsi. Revoltella, se fosse vivo, metterebbe certamente tutti d’accordo.

2. – segue

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