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Minniti boccia il ritorno dei Cie: «Abnormi carceri senza dignità»

L’ex ministro Pd contro la linea Fedriga-Salvini: «Irrealizzabile rinchiudere in centri semidetentivi tutti i richiedenti asilo. Le frasi su Tunisia e fine della “pacchia”? Segnali di una deriva preoccupante»

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TRIESTE. «Una proposta non realizzabile». L’ex ministro dell’Interno, Marco Minniti, respinge l’idea leghista di costringere a un regime semidetentivo i migranti che attendono in Italia l’esito della propria domanda di protezione. Il deputato del Partito democratico mantiene toni istituzionali e respinge le polemiche, ma parla chiaro quando dice che l’idea avanzata dal suo successore Matteo Salvini e fatta propria in Friuli Venezia Giulia dal governatore Massimiliano Fedriga «collide frontalmente con tutte le risoluzioni delle Nazioni unite».

Il nuovo ministro parla di “pacchia” finita per i migranti…

Chi fugge da guerre o condizioni di mancato sviluppo economico non vive una pacchia. Viene da una traversata drammatica del deserto e del mare, affrontata in stato di semi schiavitù. Il problema non è demonizzare ma governare un fenomeno epocale: è l’unica cosa che possa fare una democrazia che abbia rispetto dei suoi valori fondativi.

Salvini ha detto che lei ha fatto un lavoro “discreto”. Cosa potrà fare di diverso il nuovo governo?

L’Italia ha dimostrato di saper governare il problema quando sembrava non ci fosse limite alla cosiddetta emergenza. A oggi abbiamo 120mila arrivi in meno rispetto all’anno precedente.

Il ministro punta intanto sul ritorno ai Cie.

Non sono previsti dalla legge attuale, che parla di Centri di permanenza per i rimpatri. Uno per regione, con capienza entro i 150 posti: centri che non servono a rinchiudere chiunque arrivi nel nostro Paese ma chi manifesta pericolosità per la nostra sicurezza. Questi centri non possono diventare enormi carceri. I Cie li abbiamo avuti già: strutture abnormi che producevano il non rispetto dei diritti di chi vi era ospitato e un equilibrio non corretto con le comunità dove sorgevano.

Che ne pensa dell’idea di Fedriga di una semidetenzione per i richiedenti?

Non facciamo confusione, appunto. Una cosa sono i centri di accoglienza che stanno nel rispetto delle direttive Onu e che noi abbiamo comunque lavorato per superare con l’accoglienza diffusa. Altro sono i Cpr, dove si rinchiude chi non ha avuto il riconoscimento del diritto d’asilo e costituisce nel contempo un pericolo per la sicurezza. Per ospitare questi Cpr abbiamo al momento dieci siti pronti in Italia.

Ha trovato disponibilità da parte delle Regioni di centrodestra?

I presidenti Zaia e Toti hanno sempre detto di no per quanto riguarda Veneto e Liguria. In Lombardia invece si sta procedendo.

Cie invece di Cpr, clandestini invece di richiedenti: che ne pensa della confusione leghista nell’uso dei termini?

Mi auguro sia frutto di un primo approccio. Ma spero non si voglia riportare il tema immigrazione in Italia dopo che noi lo avevamo spostato dall’altra parte del Mediterraneo: il problema è in Africa.

In che senso?

In Libia si è costruito un modello di governo dei flussi, con drastica riduzione delle partenze, guardia costiera all’opera, controllo delle frontiere meridionali, 25mila rimpatri volontari assistiti verso i paesi africani di provenienza e presenza dell’Onu per verificare la vita nei campi.

Quanto le sono dispiaciute allora le frasi di Salvini sulla Tunisia?

Sono preoccupato. Il rapporto va recuperato subito. La Tunisia è un paese chiave per il governo dei flussi e la lotta al terrorismo, con cui abbiamo costruito solidi accordi sui rimpatri. È l’unica democrazia nata dalle primavere arabe, l’unica ad aver resistito allo Stato islamico ed è un punto chiave per evitare che migliaia di combattenti di ritorno da Iraq e Siria si riversino in Europa. Non possiamo destabilizzare i Paesi del Mediterraneo che collaborano con noi: serve prudenza, perché il rischio jihadista rimane alto.

Come si rafforzano le relazioni con i Paesi di partenza?

Nessun paese al mondo ha mai rimpatriato seicentomila persone e non possiamo tornare alla sanatoria fatta dal centrodestra dopo il 2001. Serve una politica dei rimpatri, grazie a una politica dei visti che neghi l’ingresso in Ue per i cittadini dei paesi che non accettino i rimpatri. Altrimenti siamo alle chiacchiere.

L’Europa non parla però con una voce sola, come dimostra lo stop alla riforma di Dublino.

La riforma era peggiore del regime attuale. Dublino è una camicia di forza per l’Italia perché stabilisce che non può esserci un principio di solidarietà più ampio. Ma chiariamo che la riforma non piaceva a noi perché sarebbe stata ancor più restrittiva, mentre non piaceva ai paesi di Visegrad perché troppo poco dura.

Salvini sbaglia allora a guardare all’alleanza con gli Stati centroeuropei?

L’Italia vorrebbe stringere una solidarietà con paesi che rifiutano di collaborare al ricollocamento dei migranti. Tutto ciò è in contraddizione con i nostri interessi.

Visegrad, la vittoria della destra anti immigrati in Austria e Slovenia, l’uccisione di Soumayla Sacko. Dove sta andando lo spirito del tempo?

I democratici e la sinistra devono affrontare due grandi sentimenti: rabbia e paura. Non può esserci supponenza. Questa è la sfida per il consenso in tutte le democrazie per i prossimi vent’anni: la sfida fra democratici e populisti. I primi devono stare accanto ai ceti popolari che sono quelli che hanno più paura, mentre i populisti fanno finta di ascoltarli ma vogliono solo tenerli incatenati alle loro paure.

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