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Banche slovene “lavatrici” del denaro sporco italiano

Scoperte 216 società a Lubiana con la sede in tre indirizzi della capitale

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LUBIANA. È il “metodo italiano”, o meglio, l’”Italian job” la cui messa in pratica ha trasformato la Slovenia in una vera e propria lavatrice per il denaro sporco proveniente dal Belpaese. Alcuni casi erano già noti alla commissione parlamentare contro il riciclaggio che nella sua relazione finale aveva parlato di infiltrazioni di elementi collegati al crimine organizzato in Italia (leggi ’ndrangheta). Ma quello scoperto da un’inchiesta del quotidiano Delo di Lubiana costituisce la prova madre dell’uso praticamente sistematico del sistema bancario sloveno da parte degli italiani per ripulire il proprio denaro sporco.

Ma come funziona il “metodo italiano”? Basta aprire una società di “paglia” in Slovenia con una sua sede legale e poi intestarle un conto corrente bancario. Al momento giusto su questo conto affluisce il denaro da ripulire, di solito non cifre da capogiro per non destare sospetti eccessivi, lo stesso giorno allo sportello si presenta il beneficiario del bonifico e ritira tutto in contanti. E voilà, il gioco è fatto. Senza andare a Dubai, alle Cayman o in altri paradisi fiscali, basta la Slovenia, Paese europeo e confinate con l’Italia.

Nella ricerca svolta dal Delo è emerso che in soli tre indirizzi della capitale Lubiana hanno dichiarato la propria sede sociale ben 216 aziende molte delle quali di “paglia”, che non dichiarano alcun profitto e non hanno nessun dipendente, dove almeno uno dei soci è italiano. Ma c’è di più. In uno di questi indirizzi e più precisamente alla Dunajska 136 c’è la sede anche di una società slovena, la Data la quale garantisce la creazione in Slovenia del cosiddetto “ufficio virtuale”. Alla domanda se nei loro servizi è previsto anche un aiuto per la creazione della aziende di paglia nel Paese i responsabili di Data on hanno risposto e hanno spiegato che delle aziende e dei loro affari che si rivolgono a loro conoscono quanto le stesse sono pronte s far conoscere delle proprie attività e affari.

Ma facciamo alcuni esempi. Al numero civico 136 della su citata Dunajska cesta sono registrate 396 società, 298 di queste sono in mani di stranieri e, più del dettaglio, 52 risultano le società dove almeno un socio è italiano. Stessa “filosofia” operativa anche al civico 113 sempre della Dunajska cetsa dove sono registrate 83 società, 29 delle quali straniere tra le quali 16 risultano italiane. Invece al civico 53 della Parmova ulica sono state registrate ben 137 società italiane.

I casi conosciuti dalla commissione parlamentare anti riciclaggio riguardavano la Nova Kreditna Banka Maribor dove due conti correnti italiani erano stati aperti in due filiali locali in due piccoli centri assolutamente anonimi e quindi nei quali era molto semplice operare. Ma è chiaro che a fare da lavatrici al denaro sporco italiano sono stati anche altri istituti bancari, ma sull’argomento la Banca di Slovenia (Banca centrale) non rilascia dichiarazioni.

Ricordiamo che il caso più clamoroso di riciclaggio di denaro sporco in Slovenia è il cosiddetto “Irangate” quello cioè del cittadino di Teheran Farrokh il quale è riuscito a ripulire tramite la Nova Ljubljanska Banka qualcosa come un miliardo di dollari tra il 2009 e il 2010 utilizzato per l’acquisto di tecnologie per lo sviluppo del programma nucleare iraniano all’epoca dei fatti sotto embargo internazionale. Altri casi sono stati poi scoperti di somme di denaro sospette che sono passate attraverso gli istituti di credito sloveni, ma anche austriaci (da Vienna è partito l’allarme) provenienti dalla Bonsia-Erzegovina. Dopo il lavoro della commissione parlamentare ci sono state anche denunce all’autorità giudiziaria di vertici bancari e in Parlamento un voto trasversale che ha avallato la responsabilità politica dell’allora premier e oggi capo dello Stato, Borut Pahor per quel che riguarda l’”Irangate”. E le banche? Hanno iniziato a indagare su tutti i conti stranieri. Chi non risponde all’indagine si vede il conto chiuso d’ufficio. I correntisti italiani che finora hanno risposto sono solo due.

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