In evidenza
Sezioni
Annunci
Quotidiani NEM
Comuni

Lejla, nata da uno stupro di guerra in Bosnia: «Così ho incontrato la mia madre biologica»

Oggi è attivista per i diritti civili e vive a Londra

Giovanni Vale
2 minuti di lettura

ZAGABRIA. Nell’inverno del 1992, in pieno assedio di Sarajevo (1992-1995), una coppia di giornalisti della Bbc intervistano una donna bosniaca che ha appena partorito una bambina, figlia di "uno stupro di guerra”, come ne avvennero a migliaia durante la guerra nei Balcani. Quella bambina è Lejla, nata il giorno di Natale del 1992 e lasciata dalla madre all’orfanotrofio della capitale bosniaca. Sarà adottata dai due giornalisti e crescerà a Londra con il nome di Lejla Damon. Oggi, questa studentessa di 25 anni è un’attivista per i diritti umani e delle donne e segue da vicino le vicende della sua seconda patria, la Bosnia. Qualche mese fa, ha incontrato per la prima volta la sua madre biologica a Sarajevo.

Lejla Damon, perché hai deciso di condividere la tua storia e diventare un’attivista?

Ho cominciato ad interessarmi alla Bosnia quando avevo 18 anni. I miei genitori non mi hanno mai nascosto le mie origini: avevo 7 anni quando mi hanno detto che ero stata adottata. All’inizio, quest’impegno in tematiche come la violenza di genere e lo stupro mi ha permesso di saperne di più su me stessa, sul perché sono qui, fondamentalmente. Oggi, il mio obiettivo principale è quello di far crescere la consapevolezza su questi temi. Si tratta di tipi di violenza ancora molto diffusi e, per prevenirli, si deve puntare sull’educazione e sul dialogo.

Questo percorso di scoperta delle tue origini ti ha portata ad incontrare la tua madre biologica nell’autunno scorso. Come si è arrivati a quell’incontro?

Quando ho compiuto 18 anni, i miei genitori mi hanno raccontato i dettagli della mia adozione: il fatto che mia madre fosse stata internata in un campo di prigionia serbo e che avesse subito uno stupro… Da allora, ho effettuato diversi viaggi in Bosnia e, quattro anni fa, grazie all’ambasciata bosniaca a Londra sono entrata in contatto epistolare con Safa, la mia madre biologica. Ci siamo scritte per quattro anni, poi nell’ottobre scorso, grazie ad un’amica bosniaca con un passato uguale al mio, Haina, siamo riuscite ad organizzare un incontro.

Com’è stato l’incontro con Safa?

Eravamo tutti molto preoccupati dal tipo di emozioni che sarebbero potute emergere, ma, sorprendentemente, è andata molto bene. I miei genitori avevano portato delle fotografie di me da piccola, mentre Safa ci ha mostrato degli scatti della sua giovinezza. Haina ha fatto da interprete, con molta sensibilità, e ne siamo usciti tutti molto contenti.

Che rapporto hai ora con la tua madre biologica?

Ci scriviamo, le ho chiesto, ad esempio, se il mio attivismo la disturba, perché non vorrei che si sentisse sotto pressione per il fatto che condivido una storia che la coinvolge direttamente. Ma lei mi ha risposto: “sono molto fiera di quello che fai”. Mi ha fatto molto piacere. Ora, mi piacerebbe sviluppare questa relazione. Ho anche scoperto di avere una sorellastra con cui ci sentiamo regolarmente su Whatsapp. Appena finirò gli studi, spero di poter dedicare più tempo alla Bosnia.

Che cosa significa per te quel paese?

Sono cresciuta a Londra, ma considero la Bosnia la mia seconda patria e mi sento a mio agio quando viaggio da quelle parti. Certo, dovrei imparare la lingua. Mi piacerebbe sviluppare le mie competenze e magari lavorare là per un periodo.

Da attivista, qual è il tuo giudizio sull’Europa e sul Regno Unito oggi?

Viviamo tempi preoccupanti. C’è una sorta di accettazione per il razzismo occasionale. Poi, la Brexit… un disastro talmente grande che non mi va nemmeno di parlarne. Ho l’impressione che non stiamo andando nella giusta direzione, ma proprio per questo c’è bisogno di parlare di riconciliazione e di pace.

I commenti dei lettori