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Bosnia-Erzegovina, vincono i partiti etnici

Tra i croati la lista autonoma di Komšić batte il candidato sostenuto dal premier di Zagabria e dalla presidente. Dodik festeggia il successo con Vučić

Mauro Manzin
2 minuti di lettura

SARAJEVO Con una crisi sociale che è già esplosa alcune volte con manifestazioni di piazza, alle elezioni politiche e presidenziali di domenica, in Bosnia-Erzegovina, hanno vinto i partiti etnici. E metti una grande dose di nazionalismo, misto all’orgoglio etnico, innestato su un dissesto socio-economico conclamato, ecco che la Bosnia diventa un barilotto pieno di dinamite nel cuore dei Balcani. Un passo indietro verso l’integrazione europea.

Secondo gli ultimi dati diffusi dalla commissione elettorale sulla base dello spoglio dell'84,33% delle schede elettotali, si conferma il successo di Milorad Dodik, Sefik Džaferović e Željko Komšić rispettivamente a membro serbo, bosniaco musulmano e croato della presidenza tripartita. Dodik ha ottenuto il 54,06% dei voti rispetto al 42,79% andato al suo rivale Mladen Ivanić. Džaferovic si è aggiudicato il 37,30% dei consensi rispetto al 33,37% di Denis Bečirović, mentre a Komšić è andato il 51,14% rispetto al 37,31% ottenuto dal rivale Dragan Čović. Per la carica di presidente della Republika Srpska, detenuta finora da Dodik, è in testa con il 47.67% Željka Cvijanović, premier uscente dell'entità serbo-bosniaca, rispetto a Vukota Govedarica che ha ottenuto il 42,63%.

E se il successo di Dodik (il riferimento serbo di Putin e Bannon) era praticamente scontato, anche se i margini della sua vittoria non sono così grandi da permettere di intonare toni trionfali - anzi il suo avversario ha chiesto il riconteggio dei voti - a fare clamore è la sconfitta in Erzegovina del membro uscente della Presidenza tripartita, il croato Dragan Čović, targato Hdz, il partito al potere nella madrepatria Croazia e che era sostenuto sia dal premier di Zagabria Andrej Plenković che dal capo dello Stato Kolinda Grabar Kitarović.

Čović la sconfitta proprio non l’ha digerita e si è scagliato contro il sistema elettorale vigente che, secondo lui, fa in modo che siano i bosgnacchi a decidere quale sarà il membro croato della Presidenza. Immediata la replica di Komšić il quale ha ricordato allo sconfitto che la legge è la stessa in base alla quale nella precedente tornata aveva vinto lui, quindi...

Komšić, che si è presentato con una lista autonoma, ha lavorato nel corso della campagna elettorale prendendo una distanza critica dalla politica della Croazia nei confronti di Sarajevo ma non ha certo dismesso l’idea che i croati debbano essere elevati a rango di entità in Bosnia, come serbi e bosgnacchi. Un’idea molto pericolosa da difendere a Sarajevo, che richiede una riforma costituzionale e degli Accordi di Dayton del 1995. Insomma altra polvere da sparo che riempie la botte esplosiva bosniaca.

Sul versante serbo l’ultranazionalista Milorad Dodik ha immediatamente telefonato al presidente serbo Aleksandar Vučić dopo la vittoria e certamente vedrà prima il collega di Belgrado che gli altri due di Sarajevo. Dodik ha affermato che difenderà la Republika srpska perché sia la numero uno delle entità, mentre si è rivolto molto minaccioso al suo sconfitto avversario politico Mladen Ivanić al quale, secondo Dodik, non aiuteranno neanche centinaia di ambasciate statunitensi o britanniche.

Il nuovo membro bosgnacco della Presidenza tripartita Šefik Džaferović è stato forse il più “politically correct” sostenendo, celebrando l’elezione sotto una pioggia di fuochi d’artificio che la Bosnia «è uno Stato che ha bisogno di stabilità, di riforme economiche e di integrazione». Parole dal chiaro sapore europeista, facili da pronunciare ma molto, molto difficili da concretizzare in Bosnia-Erzegovina. Anche dopo queste elezioni.—


 

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