Il Tirreno

Addio a Mauro Betti, memoria del lager

di Maria Meini
Mauro Betti alle celebrazioni del 25 aprile nel 2016 (Foto Falorni/Silvi)
Mauro Betti alle celebrazioni del 25 aprile nel 2016 (Foto Falorni/Silvi)

Internato a Buchenwald ha incontrato migliaia di studenti

21 maggio 2018
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CECINA. Era una voce della memoria. Una voce che, nonostante gli anni - ne aveva 96 - continuava a raccontare del buio e delle atrocità che aveva vissuto nei lager nazisti. Si rivolgeva agli studenti, nelle scuole; ai giovani e agli adulti nelle piazze e ovunque lo invitassero, perché solo ricordando si può sperare che l’orrore non si ripeta. Di questo Mauro Betti, ultimo toscano sopravvissuto ai campi di concentramento tedeschi, era convinto. Se ne è andato domenica 20 maggio, dopo un breve ricovero in ospedale. Ma la sua testimonianza resterà impressa nella mente di tutti coloro che l’hanno conosciuto. Raccolta anche nel suo libro "Buio e luce. L'oscurità trascorsa illumini i posteri”.

Il buio dei campi di concentramento. Aveva 22 anni, e da cinque era in guerra, quando fu fatto prigioniero dai tedeschi e deportato nei campi di sterminio: da Grosse-Rosen a Flossembur, a Buchenwald.

La sua storia è toccante e terribile. Si era arruolato in Marina a 17 anni, impiegato come radiotelegrafista. «La nostra generazione era stata educata ai valori del fascismo - raccontò due anni fa in un’intervista al Tirreno -. Io abitavo a Castagneto e fino a 15 anni non ero mai stato a Cecina, non avevamo prospettive. La propaganda era così sottile e penetrante che trovava sponda nei giovani. Quando partii volontario ero convinto della mia scelta, ma un mese dopo Mussolini dichiarò guerra a Inghilterra e Francia dicendo "Mi bastano qualche centinaio di morti per sedermi al tavolo della pace". Tra questi potevo esserci anch'io. Fu lì che persi la fiducia».

La deportazione. L’8 settembre, dopo l’Armistizio, fu catturato a Rodi dalle truppe tedesche e deportato in Croazia come prigioniero di guerra. Evaso dal campo di concentramento, si unì alle formazioni partigiane croate. «I cosacchi mi ripresero e mi portarono in prigione a Zagabria. Qui mi fu offerto di unirmi alla Repubblica di Salò, ma io rifiutai». Fu allora che si aprirono le porte del lager. Numero di matricola in polacco, 63413, cucito addosso col triangolo rosso dei prigionieri politici, con dentro la scritta It perché italiano.

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Le bastonate dei kapò. Pesava 30 chili quando riuscì a scappare dall’ultimo campo. Incrociò «un kapò che mi aveva tumefatto il sedere con 25 bastonate. I kapò erano tutti polacchi, uccidevano le persone a bastonate con una sofferenza atroce. Ci picchiavano senza motivo e quando succedeva a me mi raggomitolavo su un fianco e mi riparavo finché non si stancavano. Reagire significava essere uccisi subito. Non ho mai capito i motivi di una crudeltà così immensa e gratuita. Questi erano prigionieri come noi!» Il freddo, la fame che non dà tregua, il dolore. Mauro Betti lo raccontava ai ragazzi con voce pacata e la passione di chi non si arrende. «Quante volte ho invocato Cristo che mi venisse a prendere...»

La liberazione e l'incontro con la mamma. Fu liberato dagli americani e quando tornò a casa e rivide la mamma, «l’emozione fu così profonda e bellissima, che mai potrò dimenticare. Non ho mai nutrito il sentimento della vendetta verso i tedeschi, ma di compassione per quelle carezze che facevano i kapò ai loro figli, mentre ne avevano mandati a gassare chissà quanti, anche bambini».

Camera ardente nella sala consiliare. Domenica pomeriggio, per iniziativa del sindaco Samuele Lippi, è stata allestita la camera ardente nella sala consiliare del Comune vecchio in piazza Guerrazzi, che è riapertà stamani lunedì 21. Picchetto d’onore con due vigili urbani in alta uniforme, a lato le insegne del Comune, dell’Associazione combattenti e reduci e dell’Anpi. Alle 15 la funzione civile, con un intervento del sindaco; alle 16 sarà celebrato il funerale nella chiesa di San Francesco al Palazzaccio.

Il ricordo del sindaco. Lippi gli ha dedicato un ricordo affettuoso: «Mauro non ha mai perso occasione per raccontare, per portare la sua storia nelle scuole, tra le nuove generazioni. Credo che la miglior cosa da fare per onorare la sua memoria sia continuare a farlo noi per lui. La camera ardente è stata allestita in Comune Vecchio, nella sala consiliare, in modo che tutti possano rendergli omaggio. Buon riposo adesso, e grazie per tutto quello che ci hai insegnato». Tanti i ricordi che gli sono stati rivolti e le testimonianze di affetto indirizzate alla famiglia.
Alla moglie Alma, ai figli Fernando e Sandro, professore al Marco Polo, le condoglianze del Tirreno.
 

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