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Dopo 102 anni ritrova la tomba dello zio

di Fiora Bonelli
Il cippo di Domenico Tizzi, morto in guerra nel 1915 e, a destra, il nipote Fernando Tizzi
Il cippo di Domenico Tizzi, morto in guerra nel 1915 e, a destra, il nipote Fernando Tizzi

Domenico Tizzi, originario di Santa Fiora, morì nella Prima guerra mondiale. Per decenni la famiglia lo ha cercato  

18 dicembre 2017
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SATURNIA. Dopo ben centodue anni si ritrova a Udine, a distanza di centinaia di chilometri da casa, la tomba di un soldato di Saturnia (Manciano) caduto nella grande guerra.

Finalmente i familiari di Domenico Tizzi, un soldato di vent’anni originario di Santa Fiora e poi trasferito a Saturnia, morto nell’ospedale da campo di Porpetto (Udine), sono riusciti a trovare la tomba che ne custodisce i resti.

C’è voluto oltre un secolo di lacrime e ricerche, sempre andate a vuoto, ma alla fine la tenacia e il puntiglio del nipote Fernando Tizzi («prima di morire – ha sempre detto – voglio sapere dove andare a piangere mio zio») l’hanno avuta vinta.

Grazie alla collaborazione di un amico, Antonio Antelmi, che abita a San Canzian d’Isonzo (Gorizia), fra mille peripezie ed emozioni forti, il cippo del caduto è stato ritrovato nella cripta del tempio sacrario di Udine, fra 77mila loculi e pietre che custodiscono i morti in guerra.

Domenico Tizzi, di ritorno dalla guerra di Libia, era stato quasi subito trasferito al fronte, lasciando soli la giovane moglie e un bambino di tre anni, malato e incurabile.

«Partì disperato – racconta il nipote Fernando, che fa l’allevatore a Saturnia – così mi ha sempre raccontato mio babbo che era suo fratello. Sette figli, tutti nati a Bagnore di Santa Fiora e quasi subito trasferiti a Saturnia al podere Casalino dove facevano i contadini. Due altri fratelli, Luigi e Angiolino, chiamati in guerra, tornarono. Domenico no. La famiglia mai seppe dove fosse stato seppellito dopo che era morto in un ospedale da campo. È morto per la patria, diceva mio padre».

Le ricerche partirono subito dopo la guerra. «Io stesso – racconta Fernando Tizzi – andai a Re di Puglia, scrissi al ministero ma non ho mai ricevuto risposta. L’idea di non sapere dove fossero le sue spoglie è sempre stata una spina nel cuore».

Poi la svolta. «Finalmente lo scorso agosto – prosegue Tizzi senza riuscire a trattenere le lacrime – ho conosciuto Antonio Antelmi che arrivava dalla provincia di Gorizia. Gli raccontai la nostra storia e promise di aiutarmi e l’ ha trovato».

«Fernando – spiega emozionato Antonio – mi spiegò cosa aveva fatto fin lì: lettera al ministero, incarico a un signore che gli aveva promesso aiuto. Tutto senza esito. Io ci ho voluto provare. E ho cominciato il 5 novembre, per le celebrazioni delle forze armate, quando decisi di recarmi a Porpetto. Chiesi a dei vecchi alpini che erano al raduno dove potesse essere oggi, a Porpetto, l’ospedale da campo. Nessuno lo sapeva. Gli ospedali di guerra risultavano essere tre. Domenico era morto in quello numero 47. Ma nel paese non c’era traccia. Cominciai allora a fare ricerche su Internet. Trovai il nome di Domenico nell’albo d’oro dei caduti elaborato dal Ministero, ma della sepoltura nessuna menzione. Mi recai al cimitero di Porpetto, ma ci sono solo caduti del luogo». Antonio comincia la sua ricerca direttamente nei cimiteri. «Ne ho visitati tanti – racconta – grandi e piccoli dei paesi vicini, ma senza risultato. Finalmente, su Internet, mi sono imbattuto nel sito del sacrario del tempio di Udine. Lì ho trovato il nome di Domenico Tizzi. Adesso bisognava trovare il loculo».

Una mattina di novembre, dunque, decide di andare al sacrario di Udine. «Arrivai ed era chiuso – dice – se pur presidiato da un carabiniere. Nella sagrestia trovai un sacerdote. Gli raccontai la storia e mi fece entrare nella chiesa. Spettacolo da brivido. Una chiesa ossario che contiene 77.000 caduti. “Sono in ordine alfabetico”, mi suggerì il sacerdote».

Arrivati alla lettera “t”, Domenico non c’era. «Il sacerdote dunque – prosegue Domenico – mi invitò a scendere nella cripta. Altra emozione, da capogiro. Luce soffusa, pietre, loculi e cippi stretti l’uno all’altro. Migliaia. Anche qui in ordine alfabetico. E questa volta lo trovai».

Il cippo era lì, con la fotografia e una data: 12 novembre 1915. «Piansi per l’emozione e la gioia – dice Antonio – perché ormai questa ricerca la sentivo mia, profondamente».

Adesso Antonio sta cercando la struttura dell’ospedale da campo. Ha contattato la Croce Rossa Italiana e ha avuto qualche indicazione. «L’ospedale numero 47 dove morì Domenico – spiega Antonio – credo di averlo individuato. C’è una pizzeria, oggi, e la sua conformazione potrebbe davvero essere stata adatta per un ospedale da campo. È nel centro del paese di Porpetto e ha una targa esterna che ricorda la visita della regina Elena di Savoia e della figlia Maria, nel 1927. Siccome la regina apparteneva alla Cri, penso che è possibile che lo stabile fosse ancora utilizzato nel 1927, dall’associazione come luogo di cura. Vedremo. Lo faccio per Fernando e la famiglia che porterò a Udine e a Porpetto per rendere omaggio allo zio Domenico».

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