Il Tirreno

Grosseto

Viaggio al confine per costruire un futuro di pace

di Francesca Ferri
Viaggio al confine per costruire un futuro di pace

L’esperienza di quattro liceali grossetane  nei luoghi della memoria dell’Alto Adriatico

03 marzo 2018
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GROSSETO. Un libro di storia dentro il quale camminare, dove i testimoni sono lì e ci puoi parlare, dove i luoghi si possono toccare, dove l’atmosfera si può respirare. Dove il confine si può attraversare. Un viaggio sui luoghi del passato perché il cammino verso il futuro non imbocchi la via di amnesie e reticenze e non inciampi più in intolleranze, guerre di massa, pulizie etniche, genocidi, stermini. Un viaggio che insegna cosa significa essere profugo, cos’è l’esilio, cosa significa essere costretti a varcare un confine e trovare alla frontiera facce ostili. Un viaggio nel passato che è un trampolino per un futuro migliore. Perché, come spiega la professoressa Luciana Rocchi dell’Isgrec, «nessuna categoria oggi è tanto importante quanto quella del “confine”».

Il Giorno del ricordo. In occasione del Giorno del ricordo 2018 – istituito nel 2004 nella data del 10 febbraio per conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli Italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale – quattro liceali della provincia di Grosseto hanno partecipato al viaggio di studio “Per la storia di un confine difficile. L’Alto Adriatico nel Novecento”, tra Friuli Venezia Giulia e Istria, un progetto pilota di Regione Toscana, Miur, Rete degli Istituti storici toscani della Resistenza e dell’età contemporanea, e università di Firenze.

Le scuole e gli studenti. Ventisei scuole superiori toscane hanno inviato due studenti e un insegnante ciascuna; ogni Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea ha inviato un proprio rappresentante; per la Regione c’era la vicepresidente Monica Barni. Dalla Maremma sono partite Djanet Rose Costantini e Benedetta Armando della 5° A del liceo classico Carducci-Ricasoli di Grosseto, accompagnate dal professore di storia e filosofia Paolo Carmignani, e Ilaria Pagano ed Elisabetta Testi della 5° A del liceo scientifico Cattaneo di Follonica, accompagnate dalla professoressa di religione Graziella Poli. Con loro Luciana Rocchi dell’Isgrec.

II gruppo, partito con due autobus il 12 febbraio, ha fatto base a Trieste. Qui ha visitato il Narodni Dom e ha incontrato i giornalisti del Piccolo e del Primorski dnevnik, unico quotidiano della minoranza di lingua slovena in Friuli-Venezia Giulia. Al Museo Archivio storico di Fiume c’è stato poi l’incontro con il direttore Marino Micich, esule della Dalmazia.

Le tappe del viaggio. Da Trieste il gruppo ha visitato il sacrario di Redipuglia, costruito durante il fascismo per commemorare i caduti della prima guerra mondiale; il campo di concentramento fascista di Gonars per civili jugoslavi (prevalentemente sloveni e croati) e per prigionieri politici sloveni; la foiba e il memoriale degli eroi di Basovizza; il centro di raccolta profughi di Padriciano da dove transitarono i 350mila italiani d’Istria costretti a lasciare le loro case; Fiume e la scuola italiana; la Risiera di San Sabba dove venivano internati gli ebrei italiani prima della deportazione nei lager di Germania e Polonia; il campo di concentramento di Fossoli.

La preparazione. Un viaggio preparato dalla scorsa estate, quando gli insegnanti hanno seguito una specifica summer school a Rispescia. Il lavoro è proseguito in classe tra l’autunno e l’inverno. Incontri, approfondimenti, lezioni interdisciplinari, alternanza scuola lavoro, attività pomeridiane extrascolastiche. «Perché – come spiega Carmignani – per visitare un luogo della memoria è necessaria una preparazione a monte. Non è sufficiente l’impatto emotivo; in alcuni luoghi c’è bisogno di una concettualizzazione». Poi ogni scuola ha selezionato gli studenti che hanno frequentato in modo più assiduo e hanno dimostrato più interesse. A loro è stato assegnato il compito di diventare testimoni del viaggio e staffette di culture, memorie, storia, conoscenza.

La storia insegnata dai luoghi. Le studentesse maremmane sono rimaste profondamente coinvolte. Appena rientrate, hanno raccontato l’esperienza ai compagni. «Un’esperienza come questa è un modo di insegnare la storia attraverso i luoghi della memoria – spiega ancora Carmignani –. Si entra in questi luoghi, c’è un contatto fisico, il luogo è come un testimone che racconta l’esperienza per cui è stato creato. È proprio questo il valore aggiunto del luogo della memoria rispetto al racconto che si può fare in classe, i documenti che si possono trovare su Internet, le foto. È come quando si ascolta un sopravvissuto di un campo di sterminio. Per i ragazzi che sono abituati alla realtà virtuale, entrare nella realtà fisica e toccare con mano è stato importante». Tanto più che fino a non molti anni fa questa pagina di storia sui manuali per le scuole mancava. «Io insegno storia e filosofia nei licei da trent’anni – spiega Carmignani – e fino agli anni Duemila i libri non parlavano di foibe. Ora ne parlano, ma magari liquidano l’argomento in una paginetta. Per cui sì, ancora c’è poca conoscenza di questi fatti. E questa è la cosa più grave».

Una storia complicata. Anche perché la storia di questo confine difficile, è una storia complicata. «E questa – prosegue il professore – è stata un’altra lezione. I ragazzi si sono resi conto di come la storia di quei luoghi non si possa interpretare in modo semplicistico». Testimoni di diverse nazionalità hanno raccontato memorie diverse di quei fatti, arricchendo il quadro degli studenti.

Dal lager al messaggio di pace. Tra le immagini che più hanno impressionato i ragazzi c’è stata quella del campo di concentramento Gonars. Ma alla fine il messaggio che hanno riportato a casa è stato un messaggio di pace. «In un contesto come quello europeo in cui si innalzano dei muri – spiega ancora Carmignani – abbiamo scoperto che il confine è un luogo dove le persone che vi abitano è continuamente attraversato. Come nell’immagine di Josè Saramago, dove i pesci di un fiume vanno da una sponda all’altra ma sono sempre pesci dello stesso fiume». L’esperienza intensa – partenza alle 8 del mattino, rientro alle 21 per quattro giorni – ha permesso ai partecipanti, non solo agli studenti, di tornare arricchiti e capaci di sviluppare un giudizio critico, oggi più che mai importante.

Staffette della memoria. Al ritorno le quattro “staffette” della memoria hanno raccontato ai compagni di classe e ai colleghi delle altre sezioni l’esperienza vissuta. «Alcuni studenti di queste scuole già aveva fatto precedenti esperienze di viaggi nei luoghi di memoria, ad esempio con il Treno della Memoria per Auschwitz-Birkenau – spiega la professoressa Graziella Poli – quindi sono ragazzi già consapevoli del valore aggiunto dell’incontro con testimone e luogo della memoria. Ed stato importante anche come esperienza di gruppo tra i ragazzi. A differenza del Treno della Memoria, al quale partecipano 650-700 persone e ogni classe rimane un po’ fra sé, stavolta il gruppo era più ristretto, i ragazzi sono stati mescolati tra loro anche nelle camere e questo è stato importante. Anche per noi insegnanti è stata un’esperienza formativa».

L’incontro a Grosseto. La riga è stata tracciata martedì a Grosseto durante un incontro tra le scuole partecipanti e gli accompagnatori, ospitato nell’aula magna del polo Bianciardi. Qui le quattro “inviate” hanno condiviso la loro esperienza. Da Lido di Camaiore è arrivata la professoressa Chiara Nencioni del liceo Chini-Michelangelo. «La storia del confine orientale – spiega – è un tuffo nel nostro futuro. Insegna cosa significa l’esilio, la profuganza, e cosa provano le persone che bussano alle porte dell’Unione europea che si chiude come una fortezza».

«Un viaggio estremamente formativo – lo descrive la professoressa Luciana Rocchi – perché sono argomenti che a scuola vengono trattati solo in maniera sintetica, perché ancora abbastanza caldi. Ci sono stati momenti in cui siamo passati con un groppo alla gola in alcuni luoghi. Mai come tornando da questo viaggio ho percepito il confine. Attraversare quello tra Italia e Slovenia, vedere i volti ostili delle guardie, essere controllati uno a uno... Immaginiamo cosa può provare chi fugge e sa che è male accolto. Riflettiamoci». La sfida adesso è sgombrare il campo dalle provocazioni politiche e guardare ai fatti con gli occhi dello storico. L’augurio è che la Regione riproponga questa esperienza, finanziando in futuro nuovi viaggi.

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