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Quella barbarie mai dimenticata

Quella barbarie mai dimenticata

Il 22 marzo 1944 i fascisti fucilarono 11 giovani renitenti alla leva

25 aprile 2018
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MAIANO LAVACCHIO. Il 22 marzo 1944 a Maiano Lavacchio, nel comune di Magliano in Toscana, furono sommariamente processati, condannati a morte e fucilati undici giovani, per lo più provenienti da Istia, e perciò passati alla storia come i “Martiri d’Istia”. La loro “colpa” era di essere renitenti alla leva, che nel linguaggio del tempo indicava quei giovani che avevano rifiutato di rispondere all’imposizione di arruolarsi nel costituendo esercito della Repubblica Sociale Italiana.

Si era nel cuore della guerra civile; nel Grossetano, come nell’Italia occupata dall’esercito della Germania hitleriana, le formazioni partigiane che si erano costituite combattevano con le armi, mentre parte della popolazione, soprattutto nelle campagne, offriva loro un sostegno, con un rischio sempre più alto, via via che la repressione si faceva più violenta.

Gli undici ragazzi furono rintracciati la notte del 21 marzo in una capanna nella macchia di Montebottigli. Dieci avevano fra i 19 e i 24 anni; l’unico “anziano” era nato nel 1908. È una delle tante stragi nazifasciste di civili, non la più grave per numero, ma tale da lasciare un segno fortissimo di dolore, mai scomparso, nella memoria collettiva, un po’ per la giovane età delle vittime, un po’ per l’immagine della loro innocenza (undici “agnelli” in un opuscolo commemorativo scritto a pochi mesi di distanza).

Contribuì a impressionare la comunità il gesto coraggioso di un prete, don Omero Mugnaini, parroco d’Istia d’Ombrone, che sfidò le autorità opponendosi al divieto di dare normale sepoltura alle vittime. Si unirono a lui le tante persone che sfidarono le mitragliatrici puntate contro di loro dai lati della strada per il cimitero, durante un partecipatissimo funerale. Terribile è il racconto della crudeltà dei comportamenti dei fascisti, nel breve intervallo di tempo fra arresto e fucilazione

Così, già dal 1945 Maiano Lavacchio si trasformò in simbolo; mentre la pietà e la riflessione di molti producevano una narrazione poetica: canzoni in ottava rima, racconti, poesie.

Le stesse vittime hanno lasciato tracce di scrittura. Il siciliano Antonio Brancati è autore di una delle lettere di condannati a morte della Resistenza italiana. Due fratelli, Corrado ed Emanuele Matteini, lasciarono un brevissimo saluto alla madre, tra i testimoni, su una lavagna, nell’aula della scuola elementare in cui aspettarono l’esecuzione. Quel frammento dal 1976 si trova nell’ufficio del sindaco di Grosseto.

La completa ricostruzione storica ha messo in luce la particolare complessità di questo episodio di “guerra ai civili”, con vittime che hanno fatto comunque una scelta netta, rifiutando l’arruolamento imposto dal bando Graziani.

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