«Qui la felicità è una cosa realizzabile»
Il vescovo Rodolfo Cetoloni spiega che cosa oggi rappresenta l’esperienza della comunità cattolica dei nomadelfi
GROSSETO. Se per una qualche imperscrutabile ragione, papa Francesco il 10 maggio non dovesse recarsi a Nomadelfia, «i frutti dell’annuncio della sua visita si sarebbero già raccolti». È il pensiero di Francesco di Nomadelfia, Francesco Matterazzo, presidente della Comunità cattolica.
Nomadelfia è un enclave spirituale a due passi della brulicante Grosseto; geograficamente vicine, a volte lontane: fosse anche solo per il fatto che il metronomo che scandisce la vita quotidiana sull’uno e sull’altro fronte batte ritmi un po’ sfalsati. L’arrivo del Papa, secondo Francesco di Nomadelfia, ha permesso di accorciare le distanze: a partire da quelle con la Diocesi e le parrocchie che non coincidono con la vita cittadina ma che ne rappresentano una realtà viva e importante: «La visita di papa Francesco – dice il presidente della comunità di Nomadelfia – ha già portato una rinnovata vicinanza con la Diocesi di Grosseto, un rinnovato incontro cresciuto molto e in poco tempo». Non solo. Forse papa Francesco neppure lo sa, ma il suo annunciato arrivo ha acceso persino un nuovo feeling tra i nomadelfi e il Movimento dei focolarini. Dopo aver lasciato Nomadelfia, il santo Padre si recherà a Loppiano, nella Diocesi di Fiesole, dove visiterà la Cittadella Internazionale del Movimento dei Focolari: «Abbiamo pensato – continua Francesco di Nomadelfia – che se il Papa ci aveva “messo insieme”, nello stesso giorno, era opportuno conoscerci meglio». Tant’è che la danza di una decina di minuti che in 114 tra nomadelfi e figli di Nomadelfia doneranno al Pontefice sul palco della Sala Don Zeno– per la regia di Anna Cianca, la sceneggiatura di Franca De Angelis, le coreografie di Sara Lewis e la collaborazione di Pierluigi Grison – è stata un po’ ispirata da un giovane focolarino. «Quella di papa Francesco – conclude Matterazzo – è una visita a due Cittadelle che testimoniano che la vita insieme e possibile. E può finanche portare gioia».
Se il Santo Padre ha deciso di recarsi a Nomadelfia – come fece quasi un trentennio fa il papa polacco Giovanni Paolo II – una ragione deve esserci. Prova a spiegarla, anche a chi magari la fede in Cristo non ce l’ha, don Ferdinando Neri, parroco in solidum di Nomadelfia. «Nomadelfia mette in risalto – dice – la “legge della fraternità” che porta nel suo nome»; e su di essa la storia della comunità mette l’accento non solo perché “i nomi portano con sé la conseguenza della cose” ma anche perché insegna e dimostra che «la legge della fraternità – continua don Ferdinando – si impara in famiglia, quella famiglia che oggi è piccola e stritolata e per questo delega all’esterno, alle strutture pubbliche, la risoluzione dei problemi». Non a caso, don Zeno, sacerdote di Carpi che venne persino imputato per bancarotta fraudolenta, tenuto a distanza dalle alte gerarchie ecclesiastiche, “dimenticato” dalla Democrazia Cristiana, volle creare persino un sistema d’istruzione in seno alla comunità: la Scuola Familiare.
«È bello e significativo – dice il vescovo Rodolfo Cetoloni – che il Papa venga a Nomadelfia poche settimane dopo aver pubblicato la sua esortazione sulla santità. Nomadelfia è un’esperienza di santità non perché chi vive qui è automaticamente santo, ma perché avverte che quella aspirazione originaria che è nel cuore dell’uomo, ovvero la felicità piena, a Nomadelfia può realizzarsi. La visita del Papa allora è un’occasione per confermare il valore e la perenne attualità del Vangelo, vissuto in fraternità, ma anche occasione provvidenziale per sfidare le nostre abitudini anche ecclesiali e – e qui il vescovo si rivolge proprio a tutti – le nostre pigrizie».
Giovanna Mezzana