Il Tirreno

Livorno

LA STORIA SIAMO (DAVVERO) NOI E QUESTO MUSEO LO RACCONTA

di MAURO ZUCCHELLI

La storia siamo noi, nessuno si senta escluso. Lo dice questo nuovo museo che apre ai Bottini dell’Olio. Ha ragione chi lo presenta come il museo delle collezioni civiche: quelle raccolte hanno...

25 aprile 2018
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La storia siamo noi, nessuno si senta escluso. Lo dice questo nuovo museo che apre ai Bottini dell’Olio. Ha ragione chi lo presenta come il museo delle collezioni civiche: quelle raccolte hanno accompagnato a suon di cimeli e amarcord le tappe della nostra storia.

Nessuno si senta escluso: dev’essere questa l’idea che c’è dietro questo cacciuccone di roba che mette insieme Virzì e l’iconostasi, il cotone idrofilo di Piero Manzoni (con le macchie d’umidità che sembrano una performance involontaria) e le pagine delle riviste satiriche d’antan (con il fiele distillato come arma invece volontaria), l’Encyclopedie illuminista e la religiosità popolare. Lasciamo perdere l’elenco, potrebbe andare avanti per altre mille righe: non tutto ma di tutto, insomma. Sta di fatto che il museo non punta sull’effetto capolavoro bensì sull’insieme di un sentimento-puzzle fatto di tanti tasselli, quasi di un’aria.

Dietro quelle tracce ci siamo noi, magari i nostri nonni o i bisnonni dei nostri bisnonni: ammesso che in un porto di mare come il nostro, dove la provenienza è l’ultimo dei problemi, abbia un senso cercare la livornesità doc nel pedigree anagrafico dei certificati di nascita.

D’altronde, adesso che l’industria dell’auto ha praticamente dimezzato il proprio peso e buona parte delle ciminiere sono archeologia industriale, cosa siamo: la cittadella operaia? la roccaforte rossa? il cuore delle grandi fabbriche? L’identità forse si è smarrita per strada eppure non è così per chi ci guarda da lontano: tutti rossi come il Pci, tutti satirici come il Vernacoliere, tutti beffardi come i ragazzi della beffa di Modì. E poi: generosi, scanzonati, superficialotti e via a suon di luogo comuni che però sono la matita con cui ci disegnano.

Nella sparizione dell’industria l’ultimo prodotto che riusciano a produrre è la “livornesità”: che si tratti dei libri di Simone Lenzi, dei film di Paolo Virzì, le canzoni di Bobo Rondelli, gli show di Paolino Ruffini, le vignette del Vernacoliere.

La storia siamo noi, nessuno si senta escluso. Vale anche guardando alla storia amministrativa di questo nuovo museo: nato con sindaco Cosimi e assessore Tredici, portato a compimento dalla giunta M5s. Guai a immaginare che tutti i gatti in politica siano bigi, ma la classe dirigente di una città non esiste se non sa darsi obiettivi strategici di lungo e lunghissimo periodo. Non stiamo parlando delle formule politiche di governo, stiamo parlando delle priorità che il ceto di “governo allargato” (a imprenditori, intellettuali, istituzioni e sindacati) riesce a selezionare. L’invenzione del lungomare è qualcosa che ha attraversato più di cent’anni di storia: dai plenipotenziari granducali, poi i primi sindaci post-unitari, la Terrazza nata come Ciano e, dopo la ricostruzione del dopoguerra, il centrosinistra che con Lamberti la resuscitò.

Nel prossimo museo, però, iniziamo a immaginar di metterci anche qualcos’altro. I primi container in porto (quando altrove erano tabù), il sistema di iniezione della Spica per l’Alfa Montreal, il bio-box della Kayser per le missioni spaziali. E, chissà, gli sportelli senza serratura che inventeranno alla Magna.

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