Il Tirreno

Livorno

Toscana economia

Dal Made in Italy al “fatto a mano”

di Ilenia Reali
Il creativo Stefano Ricci
Il creativo Stefano Ricci

Può parlare per 10 minuti della giacca del principe Carlo: «Il valore del produrre in Italia è stato svilito, i francesi ci amano per i nostri dettagli»

14 giugno 2018
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Non ha bisogno di artifici Stefano Ricci, stilista e leader carismatico naturale. Lui si nutre con la vita. Vive settimane, mesi, fatti di contrasti, di discese e risalite. Di emozioni, picchi di adrenalina e relax. Uno degli ultimi Sarti di Firenze, con la S rigorosamente maiuscola, vive accelerando la frequenza cardiaca, in un saliscendi di passioni, estro, quotidiano e lungimiranza. Moderno conte di Montecristo, indossa identità diverse con lo scopo di rendere straordinario l’ordinario e viceversa.

Nei suoi abiti che sono l’emblema dell’eleganza e stupiscono senza stupire, nella capacità di tessere rapporti con principi e butteri. La caccia per lui è quasi una religione, ammette. E questo rito, fatto di coraggio e di forza ma anche di paura e di ritorno al primitivo, Stefano Ricci lo vive in Africa e al Polo Nord da cui ha riportato le sue più grandi prede che posano accanto alla scrivania dell’ufficio ma anche a Firenze all’ombra della cui barba è passato tutto il mondo della moda per avviare carriere, fare scelte della politica del mondo dello stile, progettare il made in Italy. Fuma Ricci, con l’arcipelago toscano davanti in attesa di presentare un’anteprima della sua nuova collezione ai giornalisti. Fuma una sigaretta dietro l’altra e fuma per quello che non va nella Firenze, dei Guelfi e dei Ghibellini ora di Gucci, di Prada, di Ferragamo, di Pitti, del Centro per la moda. Della pelletteria che è tornata qui a produrre dopo aver fatto il giro del mondo. E dei lombardi che aspettano la resa dei toscani - e la debolezza provocata dalla Fortezza di Pitti da ristrutturare - per tentare lo scippo della leadership della moda da uomo.



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LA TOSCANA DEL CUORE

L’uomo-modello della maison “Stefano Ricci”, che nella presentazione si muove tra Cala Maestra, e le atmosfere celebrate da Alexandre Dumas sembra assomigliare molto al suo fondatore che, cominciò producendo cravatte e che oggi con i figli Niccolò e Filippo, guida una Spa con un fatturato di 143,8 milioni e 62 monomarca in tutto il mondo. Del resto Punta Ala, la Maremma, sono un po’ casa per questa famiglia: nella residenza che fu di Italo Balbo conosciuta come torre di Troia Nuova, i Ricci trascorrono da sempre le vacanze estive. Moda, famiglia, amici, passioni si tengono strette. Un po’ figli, un po’ nipoti, un po’ amministratori delegati.

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«Questa volta sono stato io a decidere la location per presentare la collezione primavera-estate 2019. In questo castello ho cresciuto i miei figli, ho disegnato alcune delle collezioni che hanno avuto più successo, qui ho meditato tanto, seduto sulla torre guardando il mare. Era il sogno che rincorrevo da tanti anni. C’è chi va alle Maldive, chi ai Caraibi, chi altrove, io quassù. Abbiamo un mare che è meraviglioso: sono innamorato della mia terra. Arrivo qui, parcheggio l’auto e la dimentico. Non esco la sera perché sono già in paradiso, dentro un sogno. Non mi trovo a mio agio nella confusione, figurarsi che non ho mai visto una partita di calcio. Eppure i miei figli non mi hanno mai detto: “Babbo che noia”. Li ho sempre coinvolti nelle mie passioni: i viaggi, la caccia, il restauro, nelle corse con le automobili antiche. Abbiamo un bel po’ di amici in tutto il mondo che vengono a trovarci con regolarità. Proprio come il principe Sturdza e il tennista e Ion Tiriac. Dico ai ragazzi da quando sono piccoli: “non sapete la fortuna che avete avuto a nascere a Firenze, in Toscana. Ovunque guardiate c’è bellezza”. Poi c’è anche il Tribunale di Novoli ma questa è un’altra storia».

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LA MODA IN TOSCANA CAMBIA PELLE

La moda sta cambiando. Le grandi firme della pelletteria sono tornate a produrre in Italia, principalmente nell’area fiorentina. Un Rinascimento per un settore che sta attraendo investimenti e creando e ricreando posti di lavoro. Intanto cambia tutto però. Cambiano le dinamiche, la comunicazione, i punti di riferimento. I “vecchi” attori della moda fiorentina si incontrano con i “nuovi”, francesi principalmente. Da Celine a Balenciaga, da Gucci a Fendi a cadenza quasi mensile i colossi dell’abbigliamento annunciano nuovi stabilimenti a Scandicci, Arezzo, nel Chianti perfino sull’Amiata. La moda sceglie l’altra Toscana, quella che piace anche ai turisti. Questo crea il determinarsi di nuove strategie della produzione: si torna a parlare di quantità e qualità e di questa legge, che danza come il modello economico della domanda e dell’offerta. La rete commerciale. Il prodotto e il mondo che arriva in Toscana, più di sempre, e la Toscana che a sua volta va in giro per il mondo. Al centro il cosiddetto made in Italy che sempre più spesso nasconde la “c” aspirata e si presenta tra le nostre colline. Stefano Ricci è uno dei Senior fiorentini, la sua azienda novemila metri quadrati è sempre stata tra Firenze e Fiesole. Il lavoro artigianale diventa arte e la conoscenza profonda della costruzione di una giacca permette, al tavolo di Ricci, di parlare per 10 minuti del taglio della giacca del principe Carlo d’Inghilterra, più o meno il tempo dedicato al governo Salvini-Di Maio. Carlo indossa giacche troppo lunghe? No, indossa giacche rovesciate in avanti per dare equilibrio alla figura. Intanto le aziende aumentano i posti di lavoro, tornano mestieri scomparsi i grafici della moda abbigliamento si alzano sempre più in alto. Ma non è tutto d’oro quello che luccica. Non tutto è Made in Italy come sembra.



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«I francesi vogliono fare pelletteria di eccellenza e per questo stanno comprando le aziende fiorentine. Tra l’altro devono scrivere sui loro capi “made in Italy” e per i grandi brand francesi è un compromesso con la loro presunzione. Il mondo della moda sì, sta cambiando. Si sta stratificando. Oggi c’è una tendenza a stupire ma è difficile vestire l’eleganza stupendo con delle cose pazze oppure troppo originali. Ecco perché io, per continuare a distinguermi, sto cercando sempre di più di investire sul prodotto, aggiungendovi ore di lavoro. Non mi basta mai aggiungere cura, continuo a chiedere “ma qui si può aggiungere qualcosa di fatto a mano”. Poi c’è il tema del profitto. Non sono uomo di grandi numeri per quanto riguarda la produzione. Fino a quando c’è un rapporto tra prodotto ed emozione dell’acquistare un abito il costo è marginale, devi però accontentarti di fare dei fatturati contenuti. Per quanto riguarda la moda uomo ci sono due tipi di clienti: chi non riesce a spendere più di 1.000 euro in un abito sceglie il pret a porter, un abito già fatto. L’uomo che può invece permettersi di pagare un abito 2.000 euro si rivolge al sarto. E grazie a questo mercato è ricominciata la formazione dei sarti, che in Italia stavano scomparendo. Noi ne abbiamo 36 a Firenze. Su questo ci siamo creati una reputazione: solo per cucire a mano le tele davanti di una giacca – non lo fa quasi nessuno - ci vogliono 45 minuti per tela. Questo significa qualità della moda italiana. Ci sono però tante mistificazioni. Capi fatti all’estero e rifiniti qui: per me è intollerabile. Abbiamo avuto politici non interessati a tutelare realmente il prodotto realizzato in Italia. Non lo erano del resto i grossi gruppi industriali, i primi a cercare le marginalità producendo all’estero e poi mettendo le etichette made in Italy. Hanno rovinato tutto: quelle realtà industriali hanno fatto sì che a Bruxelles, quando era veramente il momento per discutere di salvaguardia dei nostri marchi, si sia persa l’occasione di valorizzare davvero l’alta qualità italiana”.



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I MATTEO, DARIO E LA POLITICA

Se pronunci la parola politica Stefano Ricci risponde “mai”. Si racconta che invitato da Matteo Renzi a Palazzo Chigi abbia declinato l’invito. Con l’oggi senatore di Firenze ha sempre avuto un buon rapporto, lo conosce da sempre, da quando stava per diventare presidente della Provincia. Quando incontrò Obama a Roma al ricevimento ufficiale il premier fiorentino indossava un abito blu firmato Ricci. “O’ Matteo chiamami se hai incontri ufficiali: devi vestirti in maniera adeguata quando rappresenti l’Italia”, gli disse. Ma poi quando il premier lo invitava a cena gli rispondeva ironico: “Sei troppo impegnato, devi pensare al Paese”. L’obiettivo, sostanzialmente, è quello di sentirsi libero di dire sostanzialmente quello che vuole. Lo è stato con Prodi e Berlusconi, lo era con Renzi, lo è oggi con gli altri. E’ stato invece presidente del Centro di Firenze per la Moda Italiana, la più antica istituzione del settore, l’associazione senza scopo di lucro costituita nel 1954 con l'obiettivo di promuovere e internazionalizzare il sistema moda italiano, proprio mentre si sfilava nella Sala Bianca di Palazzo Pitti. La stessa sala in cui ha riportato la moda 50 anni dopo.



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«Non ho la minima idea di ciò che succederà in questo Paese sotto l’aspetto politico, non me ne intendo. Però qualcosa succederà sicuramente. Secondo me sarà interessante stare a vedere cosa accade. Molti si dicono disorientati? Credo che in questo caso valga il concetto che non tutti i mali vengono per nuocere: sarà dato uno scossone talmente violento al sistema - con tutte le conseguenze che potranno derivarne – che qualcosa finalmente cambierà. Speriamo bene. Firenze? I fiorentini non hanno mai fatto granché per la città di Firenze. Spadolini non l’ha fatto, Dini non l’ha fatto e Matteo ha fatto bene a se stesso. Abbiamo avuto anche un sindaco spagnolo Morales (scherza) e ora vorrei finalmento un sindaco fiorentino. Nardella? mmm non lo è. Per fare il sindaco, per farlo bene, bisogna amare la propria città. Affrontare il ruolo di sindaco come un lavoro non è abbastanza. Ci va messo il cuore proprio come ho cercato di fare io nel Centro Moda. E no, non ho dubbi, non mi impegnerò ancora nel sistema della moda: ho già dato, è un film che già visto e ho anche ringraziato. Mi hanno offerto di più. Vero cara? (lo sguardo è alla moglie Claudia). Noi stiamo bene così. E poi non posso perdonarmi di essermi sbagliato. La mia fiducia è stata tradita, tradita da una persona che credevo amico (Il nome non lo fa, ma il riferimento è alla rottura con il suo successore, Andrea Cavicchi, ndr). Adesso dicono che arriverà Antonella Mansi. Il presidente di Confindustria Firenze me l’ha portata a far conoscere. Non posso esprimere un giudizio dopo un pranzo, non sarebbe corretto. Conosco un po’ la sua storia pubblica. Se dovesse essere lei a guidare il Centro Moda non resta che farle gli auguri, nella speranza che agisca per il bene di Firenze che oggi è leader mondiale nell’Uomo. Non dimentichiamolo mai. Nel recente passato qualcuno ci ha tacciati di provincialismo per questo. Mi auguro che alla fine il buon senso abbia il sopravvento sul disegno di pochi».

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LA COSTA, LA MABRO E LA NON ECONOMIA

Firenze vola grazie alla moda toscana (e non solo) mentre la costa soffre. I grandi imprenditori godono i benefici della Maremma nel loro tempo libero ma in pochi sono interessati a investire con le loro aziende direttamente qui. A Livorno c’è una sola pelletteria che lavora per i grandi marchi, il titolare ogni giorno percorre la Fi-Pi-Li avanti e indietro per raggiungere Scandicci. Faticoso ma la vicinanza con l’aeroporto, il porto, l’interporto e spazi a buon prezzo potrebbero essere uno stimolo. A pochi chilometri da Punta Ala a Grosseto c’era la Mabro, un punto di riferimento per la moda da uomo. Stesso settore di Ricci.



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«Sulla costa avete avuto la Mabro che mi è stata offerta a un euro. Ho detto no. Perché attorno a quella storia e ai suoi operai sono state giocate altre partite. Io in 45 anni di attività non ho avuto mai uno sciopero e mai un giorno di cassa integrazione e dover affrontare qualcosa di così strumentalizzato, così danneggiato, così sfruttato, proprio non me la sarei sentita. Quando una cosa, un’azienda, è deteriorata fino a quel punto lì non c’è modo di rimetterla in sesto. Ci sono state troppe speculazioni sopra. Ma qualcosa per questa parte di territorio credo di averla fatta. In un’ottica di turismo. Ho fatto acquistare a un amico una proprietà di 2.300 ettari che era abbandonata per creare un luogo per andarci in vacanza (il riferimento è al tennista rumeno Ion Tiriac, ex tennista e oggi imprenditore di enorme successo con un patrimonio calcolato in 2,5 miliardi di dollari). La sta rimettendo a posto. E sta dando occupazione per farlo. Il vero bene alla Toscana potrebbero però farlo i toscani se diventassero meno conflittuali. Sarebbe sufficiente riuscissero a vedere cosa c’è dietro la siepe, a Firenze, come sulla costa. Vogliamo parlare dell’aeroporto di Firenze? E quanto viene penalizzata l’occupazione senza un vero aeroporto?»

 

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