Il Tirreno

Livorno

Dagli zaini in mare al container per le trote, i trucchi dei narcos per spedire la cocaina

Federico Lazzotti
Dagli zaini in mare al container per le trote, i trucchi dei narcos per spedire la cocaina

Livorno, così il porto è diventato la porta italiana dello spaccio gestito dalla ’ndrangheta

23 settembre 2018
3 MINUTI DI LETTURA





LIVORNO. Il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho lo ha detto chiaramente: «A Livorno sbarca la cocaina per tutta Italia». Aggiungendo che «in porto operano strutture organizzate in cooperative con uomini della’ndrangheta». Per trovare le conferme di un allarme sociale che fa tremare i polsi basta ripercorrere le ultime inchieste che hanno portato ai recenti maxi sequestri.

Una su tutte quella legata all’omicidio Giuseppe Raucci, il broker ucciso a Tirrenia, il 9 dicembre 2015 per aver tradito l’organizzazione sostituendo la cocaina che arrivava dalla Colombia con dello zucchero. È da questo delitto che i carabinieri del nucleo investigativo insieme alla Dda e al nucleo di polizia tributario della Finanza sono riusciti a risalire all’organizzazione tosco-calabrese che gestiva il traffico di droga. Un’indagine che oltre alle condanne che sono seguite, ha squarciato quel velo di provincialismo che spesso viene appiccicato alla criminalità livornese, descritta come rozza, istintiva e improvvisata.

In questo caso si trattava, invece, di un sodalizio ramificato e capace perfino di uccidere e che aveva collegamenti con la’ndrangheta, attraverso Domenico Lentini, uomo dell’omonima cosca inviato in Toscana. E in città l’organizzazione era ramificata, con un regista, Riccardo Del Vivo, vecchia conoscenza della malavita labronica «stipendiato dal clan calabrese con 20 mila euro al mese». È dai frenetici movimenti degli indagati e dalle frasi in codice intercettate dopo il delitto – la cocaina era la bimba, il container con la droga il ristorante – che gli inquirenti sono riusciti a sequestrare 132 chili di cocaina. Era il 12 settembre 2016.

Da quel giorno di sequestri importanti ne sono seguiti altri tre. Il più incredibile – c’è ancora un’indagine in corso – risale alla mattina del 5 maggio 2017 quando tra la Terrazza Mascagni e lo specchio di mare davanti all’Accademia vengono ritrovati una decina di zaini neri legati e tenuti a galla da alcune zavorre che la corrente ha spinto a riva. Dentro ci sono 200 chili di cocaina purissima divisi in panetti con stampato sopra il simbolo della Porsche, marchio di fabbrica dei narcos colombiani. Tra marzo a luglio di quest’anno altri due sequestri record: 200 chili di cocaina trovati dentro a un container: valore 40 milioni di euro. E il 27 luglio 19 milioni di cocaina nascosti in due sostegni all’interno di una cisterna che doveva trasportare trote salmonate.

«L’azione più incisiva – rilancia il sindaco Nogarin dopo l’allarme della Dda – dobbiamo farla in porto. Polizia, carabinieri e finanza, insieme alle procure, stanno facendo i salti mortali. Ma serve uno sforzo in più che può venire direttamente dal mondo del porto, anche attraverso le segnalazioni di movimenti sospetti o attività poco trasparenti. Perché il procuratore nazionale antimafia ha ragione: serve un’azione corale per sconfiggere la criminalità organizzata».
 

Primo piano
La beffa

Keu, la Regione Toscana sconfitta al Tar: ora le bonifiche sono a rischio. Chi pagherà?

di Mario Neri