Il Tirreno

Livorno

La corsa alla segreteria Pd

Marco il temporeggiatore ha preso la decisione. E Matteo lo “benedice”

Mario Neri
Matteo Renzi, Dario Nardella, Marco Minniti, Myrta Merlino
Matteo Renzi, Dario Nardella, Marco Minniti, Myrta Merlino

Minniti sarà in campo contro Zingaretti, forse oggi l’atteso annuncio: «Se servirò non mi sottrarrò». Renzi: «Non metto il cappello sulla candidatura»

17 novembre 2018
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FIRENZE. «Ho saputo che Minniti è un grande pescatore subacqueo, e infatti da settimane sta tenendo in apnea il partito sulla sua candidatura. Il pericolo è che il mare in cui nuota è pieno di piranha». E pensare che perfino Myrta Merlino sembrava non crederci troppo. La giornalista di La7 sembrava un’esca, e come lei Matteo Renzi, Dario Nardella, la presentazione del libro «Sicurezza è libertà» di Marco Minniti in Sala d’Arme, poi, neanche a parlarne. Insomma, a tutti è venuto da pensare che l’armamentario fosse troppo per un annuncio ufficiale. Così per un’ora e mezza i giornalisti e le truppe renziane parlottano un po’ sonnolenti e annoianti sotto le arcate. «Ma no, figurati se Minniti si candida oggi, ad un giorno dall’assemblea».

E invece, dopo un’ora di frasi sospirate e sospirose già pronte per un nuovo personaggio di Crozza, colme di gravitas epica sul futuro dell’Italia e le ombre gettate sull’Europa dai «nazionalpopulisti al potere», Marco il traccheggiatore ha smesso di traccheggiare, l’ex ministro dell’Interno diventato il cunctator dei dem ha capito che a tirarla troppo per le lunghe la corda forse si sarebbe pure spezzata. E così ha (quasi) «sciolto la riserva». «Se il mio impegno servirà a rendere più unito e forte il Pd, io non mi sottrarrò», quasi declama e strappa il primo scroscio di applausi del popolo (renziano, ovvio) riunito a Palazzo Vecchio.

«E fiuuuhh», si sente un sospiro collettivo, dopo un’ora e mezzo di riflessioni su quanto abbiano pesato “paura” e “rabbia” sulla batosta del 4 marzo, con Renzi che spara bordate su Salvini e i Cinquestelle e usa Toninelli come pungiball, apostrofandolo «pezzo di incompetente». Insomma, non proprio una discesa in campo ufficiale quella di Minniti ma quasi. Anzi, il temporeggiatore aggiunge che ci sarà più poco da temporeggiare, perché già oggi, «a poche ore dal via al percorso congressuale dirò quale sarà la mia decisione».

In pratica dovrebbe diventare lo sfidante di Nicola Zingaretti, che secondo un sondaggio di Demopolis per il Tirreno è avanti di 3 punti sull’ex capo del Viminale nella corsa virtuale alle primarie per la segreteria Pd: 36% il governatore del Lazio, 33% Minniti. Sarà. Ma Cunctator sembra aver smesso di fare calcoli. E non è banale che il quasi annuncio, nella liturgia minnitiana, quella di un vecchio dirigente del Pci poco avvezzo al velocismo leopoldino, arrivi proprio mentre è seduto allo stesso tavolo di Renzi e Nardella. Per il secondo, chissà, una promessa di future ricompense. È stato il sindaco fiorentino a chiedergli di correre per la guida del Nazareno. «Dario me la pagherai», scherza. Per il primo, non c’è dubbio, è una rivincita. Minniti, tre le righe, sembra riconoscerlo.

«Chi lo avrebbe immaginato che sarei diventato il primo sottosegretario ex comunista ai servizi segreti e poi ministro dell’Interno? Questo corso della vita lo devo alle persone della sinistra riformista che l’hanno permesso, e quando uno ha un debito di vita prima di rispondere sì o no ci deve pensare 100 volte». Ecco, e nessuno si sarà dimenticato chi è che glielo ha permesso. E se Marco è un maestro di gravitas, Matteo di nonchalance. «Io non voglio mettere il cappello su una candidatura. Chi conosce Marco sa che non difetta di indipendenza e libertà, ma confido per il Pd in una candidatura autorevole». E anzi, figurarsi se lui passerà i «prossimi tre mesi a fare la guerra a Zingaretti, io farò la guerra a Salvini, Di Maio e a quel passante del presidente del consiglio». Poi incendia la Sala d’Arme piena di 300 persone e armata dello stato maggiore (ex stato maggiore: Bonifazi, Saccardi, Danti, Bonafè) del Giglio Magico. Lui, promette, è un «semplice senatore e farà da gregario del capitano Nardella, per fare di Firenze la capitale della resistenza civile».

Ma poi non si toglie sassolini ma macigni dalle scarpe: «Perché abbiamo perso? Sono l’unico ad essersi dimesso dopo il 4 marzo, ho parlato per 50 minuti per dare una spiegazione. A chi dice che abbiamo perso per colpa del mio carattere dico che se hanno fatto i ministri e commissari europei è merito di questo caratteraccio». Il siluro è diretto ai Gentiloni, i Franceschini, le Pinotti scesi dal carro e salite su quello di Zingaretti. Insomma, è resa dei conti. Tanto ad unire ci penserà Cunctator Minniti. Ci vorrà tempo, magari, ma farà la conta, di chi ci sta.—

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