Il Tirreno

Lucca

Dal “terribile” Machiavelli a papa Francesco Vitali, i giornali e Lucca come ispirazione

flavia piccinni
Dal “terribile” Machiavelli a papa Francesco Vitali, i giornali e Lucca come ispirazione

Il direttore di “Tv Sorrisi e canzoni” racconta il rapporto fra la grande città e la “periferia”: «Oggi vorrei vivere qui» Dal tentativo di fare teatro con Ronconi («ero un attore cane, ma siamo rimasti amici») al giornale tutto su Bergoglio

09 dicembre 2018
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il personaggio

flavia piccinni

Aldo Vitali è nato a Lucca, ma tutto di lui risuona come qualcosa di milanese. Almeno, come qualcosa di milanese secondo il modo di intenderlo di noi provinciali. Parla a una rapidità incredibile che ha potenzialmente qualcosa di alieno e con tale rapidità riesce a mettere in fila – con un’attitudine da equilibrista – ricordi di infanzia, riferimenti a Proust e alla Pelleria, il presente scandito dai quattro giornali di cui è direttore amatissimo, e molto invidiato. «Lucca – esordisce - è un posto dove vengo purtroppo molto meno di quanto vorrei, ma è una continua fonte di affetto, perché qui vivono mia madre, le mie sorelle, e i miei migliori amici».

Ma Lucca è anche fonte di ispirazione. «Qui – prosegue - trovo tantissimi stimoli che nascono dalla realtà vera, una realtà che spesso sfugge a Milano, dove è invece aumentata, dove le cose sono molto più enfatizzate, dove i circoli sono abbastanza chiusi». In quel glorioso confronto che è passato-presente, Lucca guadagna un’allure vittoriosa: «Adesso, rispetto a quando ci vivevo io, si è molto trasformata. È più aperta, soprattutto alla luce della sua millenaria storia di chiusura al mondo. Se lo ricorda che i viaggiatori del Settecento non potevano entrare nel centro storico, e che i nostri concittadini preferivano viaggiare in tutto il mondo, arrivando nelle Fiandre? Qualcosa è cambiato. Soprattutto se si considera che oggi in quelle stesse strade vengono accolti i cosplayer. All’inizio, e me lo ricordo bene, i Comics&Games erano un qualcosa di clandestino, ora sono divenuti un’opportunità».

Fra i ricordi, spunta quello legato ai sapori che è «la pizza da Felice con la cecina. Ci andavo piccolo con mio padre, e ancora oggi è un passaggio obbligato». Mi parla del liceo classico Machiavelli, con la voce che vibra per qualche istante e lo sguardo che si sospende, ritrovando nel passato ricordi e ambizioni: «Era semplicemente una scuola terrorizzante. Faceva paura solo a pensare che la mattina dopo bisognava tornarci. I professori davano del lei, tutto era molto formale. Mi hanno offerto una base culturale che forse altre scuole non sarebbero state in grado di darmi. Lì ho conosciuto i miei migliori amici, e quella disciplina che oggi riesco ad avere in una parte della mia vita l’ho imparata senza dubbio nella scuola di via degli Asili». E cosa ha scoperto ancora? «A non terrorizzare gli altri. Anche in questo, il Machiavelli è stato una scuola. Ho compreso l’importanza di spiegare le cose, e di convincere più che imporre. Anche se, a volte, sono costretto a imporre».

In questo gioco di alternanza – quello che gergalmente va a battesimo come il benedetto avvicendamento di carota e bastone – si colloca la brillante carriera di Vitali - già parte della direzione spettacoli del Giornale, vice direttore di Topolino prima e di Max poi, di cui dal 2003 viene nominato condirettore e dunque direttore responsabile. Oggi Vitali è direttore di quattro testate Mondadori, fra cui spicca Tv Sorrisi e Canzoni (dal 2012). Fra queste, c’è anche “Il mio Papa” che ha fondato nel 2014. «È il primo settimanale al mondo dedicato a Papa Bergoglio. Anche qui – mi racconta – la nostra Lucca delle Chiese e del cattolicesimo spinto e radicale che ho vissuto da ragazzo qualcosa centra. Ma soprattutto il merito è di Papa Francesco, e il giornale durerà fino a quando ci sarà lui. Tutto è nato da un’idea: in Gran Bretagna vanno molto le riviste dedicate a una sola rockstar o a un cantante. Noi in Italia non abbiamo nessuno con una fan base così importante. Ma abbiamo lui!».

Tornando a Lucca, Vitali ha ancora generose parole: «Oggi la immagino come una città dove vorrei vivere. Una città nella quale riscatterei il senso di periferia dell’impero che mi ha fatto andare via». In questo senso di eterno sobborgo culturale – dove la distanza ha anche il pregio di restituire un valore alle ambizioni – si dipana però l’intera storia di Vitali. «Fin da piccolo – ricorda - mia madre mi portava al Teatro del Giglio e al Metastasio, e così mi è nata la grandissima passione per il teatro. Mentre ero studente universitario a Firenze, Luca Ronconi aprì un laboratorio a Prato e mi proposi come assistenza alla regia. Inaspettatamente, mi chiesero un provino e allora recitai una poesia di Ennio Flaiano». Si tratta de “l'Inno anagrammatico degli scrittori surrealisti in onore di Truman Capote” un’opera sincopata e alquanto complessa da memorizzare (basti pensare che tutto si costruisce sull’anagramma del nome dell’autore americano). «Ronconi – prosegue Vitali - rimase colpito e mi prese. Ma c’era un problema. Non pagavano gli assistenti alla regia e così, per farmi guadagnare qualcosa, mi improvvisai attore. Avevo sempre parti minori che, nell’equilibrio delle opere spesso smisurate di Ronconi, erano sovente lunghe». Grazie anche a quella carriera attoriale che è puro stratagemma, Vitali si avvicina al teatro del maestro di origine tunisina e su di lui scrive la tesi di laurea. «Poi, con il tempo, siamo diventati amici. Presto concordammo che a recitare fossi un cane, e che era necessario che prendessi un’altra strada». Quell’altra strada lo porta, come anticipato, a Milano in compagnia di «un complesso di inferiorità. I milanesi mi sembravano molto più fighi e smart. Oggi la città è piena di ex provinciali, ma all’inizio avvertivo l’imbarazzo di essere di Lucca. Quando mi chiedevano: e Lucca dov’è?, rispondevo, a malincuore, vicino Firenze. Mai e poi mai avrei detto vicino Pisa».

Vitali si ferma, e ride. Ma ride per poco, di corsa, prima di tornare a parlare: «Ci ho messo un po’ a capire che, invece, la provincia era la mia forza. Quando ho compreso che il mio era un pensiero non omologato, ho iniziato a incoraggiare la mia provincialità. Così le cose hanno cominciato a funzionare». —

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