Il Tirreno

Montecatini

La mafia è ancora tra noi Cento cosche in Toscana

di Martina Trivigno
La mafia è ancora tra noi Cento cosche in Toscana

Dai Nuvoletta, ai Galasso, alla banda della Magliana: le tracce del crimine a Montecatini svelate in un incontro con esperti organizzato dal Movimento 5 Stelle 

29 novembre 2017
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MONTECATINI. «La Toscana non è terra di mafia; e per tanti anni, troppi, si è negata la sua esistenza. Eppure la mafia c’è stata, e continua a esserci, anche qui». Lo ha detto senza mezzi termini, con la voce ferma, Maurizio Pascucci, presidente dell’associazione “Fior di Corleone”, nata per tutelare i produttori onesti del territorio corleonese. Una presenza che passa inosservata ai più, la mafia; un’eminenza grigia che muove fili invisibili, che tesse relazioni pericolose e affari illeciti. «E allora meglio fingere che non esista», ha aggiunto Pascucci.

Si è parlato di “Mafia e terrorismo” all’Hotel Ambrosiano, a Montecatini. Un incontro organizzato dal Movimento 5 Stelle – rappresentato dal consigliere regionale Gabriele Bianchi e dall’eurodeputata Laura Agea che hanno introdotto la serata – a cui hanno partecipato oltre cinquanta persone. Per sapere qualcosa di più, direttamente dalle parole degli esperti, su questi due temi. Poco conosciuti, forse, ma tristemente attuali.

«Sono 412 – prosegue Pascucci – in Toscana, i beni confiscati alla mafia. Questo significa che, in passato, ha trovato proprio in queste zone del terreno fertile. Nel 1988 il clan Nuvoletta raffinava la droga nei boschi di Macchino, a Massa e Cozzile. E come dimenticare, poi, il rapporto, datato 1994, della commissione antimafia. Che parlava del clan Galasso a Montecatini e del suo acquisto del Kursaal, finanziato anche dal cassiere della Banda della Magliana, Enrico Nicoletti». La stessa banda che, negli anni Settanta, con un mega abuso, aveva fatto nascere l’ex hotel Paradiso a Montecatini Alto (poi confiscato 21 anni fa). La mafia dunque ha lasciato in Toscana – e anche in Valdinievole – la sua impronta indelebile. E oggi? «Sono circa un centinaio – spiega l’ispettore capo ex Dia, Renato Scalia – le cosche mafiose attive nella nostra regione. Questo non significa che siano fisicamente qui. Ma anche a distanza riescono a mandare avanti i propri affari: sfruttamento della prostituzione, traffico di droga e anche vendita di stracci, soprattutto nella zona di Montemurlo. È importante, oggi più che mai, non nascondere questo fenomeno; e, soprattutto, parlarne con i più giovani».

Sulla stessa lunghezza d’onda anche il generale dei carabinieri Angiolo Pellegrini. «All’età di 63 anni – ha esordito il generale che ha lavorato al fianco del giudice Giovanni Falcone – dopo un’esperienza ultra trentennale nel campo della criminalità organizzata, sono rimasto disoccupato. Nessuno, infatti, mi ha chiesto di andare a formare, ad esempio, le nuove generazioni di ufficiali. E allora ho deciso di mettere la mia vita al servizio degli studenti. Per raccontare loro cosa sia la mafia».

Le delusioni, i sacrifici e anche i successi, il generale Pellegrini ha voluto metterli neri su bianco. In un libro intitolato “Noi, gli uomini di Falcone”. Le stragi di mafia, il maxi processo, i 19 ergastoli e pure i 2.665 anni di reclusione per i gregari; tutto trova spazio nel racconto del generale che, lucidamente, ripercorre gli anni bui della storia d’Italia. Diversi, poi, gli interventi che si sono susseguiti, fra cui quello del tenente colonnello della Guardia di finanza di Pistoia, Gioacchino Mattia, che ha spiegato, da un punto di vista giuridico, il modus operandi della mafia nel mondo dell’economia; e quello dello scrittore Giuseppe Nicolò, autore del romanzo “Cic l’ultima missione”.

«La terapia è parlarne – ha concluso Pellegrini – e smettere di voltarsi dall’altra parte» .

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