Il Tirreno

Pistoia

i nodi dell’accoglienza 

«Chi ci critica non sa cosa abbiamo passato»

FABIO CALAMATI
«Chi ci critica non sa cosa abbiamo passato»

I migranti di Vicofaro scrivono una lettera aperta ai firmatari della petizione contro il centro di don Massimo Biancalani

04 novembre 2018
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PISTOIA

Questa volta hanno voluto prendere la parola loro, i ragazzi di don Massimo Biancalani, i migranti accolti a decine dal sacerdote a Vicofaro. Quelli che, mentre il sacerdote, spesso davanti a microfoni e telecamere, gli stanno dietro le spalle. Oppure osservano, dai margini delle inquadrature, con sguardi a volte spaventati, più spesso perplessi. Eppure i veri protagonisti della vicenda che ha proiettato questa parrocchia nelle cronache nazionali sono proprio loro, i migranti, che tanti non vorrebbero, né a Vicofaro né (magari) altrove. E che vedono la loro accoglienza messa in pericolo per i problemi di sicurezza della canonica di Vicofaro.

Ed ecco allora la lettera aperta, : a firmarla il ventenne gambiano Ibrahim Makalow, uno dei “leader” dei migranti di Vicofaro. Ibrahim è a Pistoia da quasi tre anni. Diversamente da molti altri ospiti di don Biancalani, lui è inserito nel programma di accoglienza: si è visto respingere la richiesta di rifugiato e sta attendendo l’esito del ricorso. Intanto frequenta l’istituto Pacinotti, ma il suo sogno – confessa – sarebbe quello di studiare psicologia all’università. Materialmente la lettera l’ha scritta lui, ma il contenuto è condiviso da tutti.

«Quello che stiamo affrontando qui – si legge – non è giusto e pur sapendo tutti che non è giusto, stiamo tutti zitti«. La lettera si rivolge in generale a tutta la città ma direttamente ai 190 residenti firmatari della petizione contro l’accoglienza a Vicofaro. «Vorrei dire a loro che non sono il futuro di questo paese. Devono pensare come insegnare ai loro figli che la vita e l’umanità sono importanti per il mondo di oggi... Tutte quelle persone che pensano che sono razziste, io non li chiamerò razzisti, perché non credo nel razzismo: ho imparato solo una razza a scuola, e quella è la razza umana... Conoscere i nostri nomi cone africani, non vuol dire conoscere la nostra storia e sentire quello che abbiamo fatto, non significa che sanno quello che abbiamo passato. Penso che dovrebbero provare a camminare con le nostre scarpe prima di giudicarci». E ancora: «Mi chiedo se l’Italia ricorda la sua storia dal 1861 al 1915, quando quasi 30 milioni di italiani dovettero emigrare. La terra è la madre di tutte le persone e tutte le persone dovrebbero avere uguali diritti su di essa».

La lettera termina con due citazioni: una di papa Francesco («Chi sfrutta gli immigrati risponderà a Dio”) e una di Nelson Mandela: superare la povertà non è un compito di carità, è un atto di giustizia. —

FABIO CALAMATI



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