Il Tirreno

Pontedera

L’intervista 

La “fotografia” del costumista Cantini Parrini «Non solo calcio, qui c’è la storia dei Paesi»

David Biuzzi
La “fotografia” del costumista Cantini Parrini «Non solo calcio, qui c’è la storia dei Paesi»

PONTEDEra Una regina che corre in un labirinto cercando disperatamente il figlio perduto, con uno splendido vestito rosso. È una delle scene più belle di un film bellissimo: “Il racconto dei...

13 luglio 2018
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PONTEDEra

Una regina che corre in un labirinto cercando disperatamente il figlio perduto, con uno splendido vestito rosso. È una delle scene più belle di un film bellissimo: “Il racconto dei racconti” di Matteo Garrone. Lei, la regina, altri non è che Salma Hayek mentre quell’abito meraviglioso è frutto del genio e dell’impegno di Massimo Cantini Parrini. Non un costumista ma, oggi, il costumista per antonomasia, vincitore degli ultimi tre David di Donatello, l’Oscar del cinema italiano. Ed è curioso incrociarlo al Palp di Pontedera mentre si muove attento e quasi rapito dentro “Tutte le Maglie del Mondo”, in un microcosmo che non è il suo ma che fotografa con una lente particolare, molto particolare.

«È una mostra bellissima – dice – me ne ha parlato un amico e sono subito voluto venire a vederla. Anche io colleziono abiti, quelli d’epoca, e so cosa significa cercarli e, soprattutto trovali. Complimenti a Simone Panizzi, che è riuscito in questa impresa. Ma anche a Luca Doveri perché l’allestimento è davvero un valore aggiunto. Con semplicità e dinamismo esalta colori e forme».

Ma lei è appassionato di calcio?

«Mai vista una partita di calcio in vita mia».

E quindi?

«Quindi mi ritengo uno storico del costume prima ancora che un costumista. E qui, insieme a queste maglie, ci sono i popoli e le culture che rappresentano. È affascinante perdersi fra queste sale».

Si riferisce ai colori?

«Anche. È chiaro che l’occhio è subito catturato da questo arcobaleno. E per questo dico che l’allestimento è quello giusto. Ma c’è di più, molto di più».

Ad esempio?

«La Nazionale è comunque l’espressione di un Paese. E da queste maglie si capisce molto bene».

In che senso?

«Anche dai colori. Se ci fate caso le maglie più colorate in genere appartengono a nazioni povere, o che lo sono state. Le maglie più pulite, quasi scarne, spesso fanno riferimento a paesi che hanno un regime autoritario se non addirittura dittatoriale. Ma anche le forme raccontano molto».

A lei cosa raccontano?

«Le maglie dei paesi occidentali o occidentalizzati sono figlie del nostro edonismo, senza dubbio. Tutte, in qualche misura, sono studiate nelle misure e nelle cuciture per mettere in risalto la bellezza del corpo dell’atleta, in questo caso del calciatore, che la indossa. Viceversa i modelli più dritti fanno riferimento a nazioni in cui la religione, qualsiasi essa sia, ha un peso rilevante anche sulla politica e, dunque, la vita di tutti i giorni. Ovviamente ci sono delle eccezioni, ma questi aspetti emergono nitidamente in questa mostra».

Ha mai dovuto realizzare una maglia dal calcio per uno dei film in cui ha lavorato?

«Solo una volta. Quella vecchia della Bacigalupo per “La trattativa” di Sabina Guzzanti. Ripeto, il calcio non è proprio il mio mondo. Ma questa esposizione va al di là, va molto oltre. E spero che possa girare l’Italia perché decisamente merita di essere vista». —



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