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Mercato interno, Turchia e Russia frenano i calzaturieri

Andreas Quirici
Mercato interno, Turchia e Russia frenano i calzaturieri

Trenta aziende della provincia al Micam di Milano da domenica a mercoledì. Imprenditori preoccupati per il difficile andamento del settore dall’inizio del 2018

11 settembre 2018
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SANTA MARIA A MONTE. Da domenica a mercoledì per capire lo stato di salute del settore calzaturiero. Saranno quelli, infatti, i giorni del Micam negli spazi della Fiera a Rho, Milano, a cui partecipano trenta aziende della provincia di Pisa, alle prese con un andamento non troppo positivo in questo 2018. «Pensavamo a un rilancio, invece ci siamo trovati con una situazione ancora difficile», spiega Paolo Nacci del Lion di San Miniato Basso.

Nacci è consigliere di Toscana Manifatture, il relativamente nuovo nome del vecchio Consorzio calzaturieri che ha sede a Ponticelli di Santa Maria a Monte. L’imprenditore ha un punto di vista privilegiato sul comparto, come si dice in questi casi, e vede un po’ di difficoltà all’orizzonte: «L’Italia è ferma, perché si predilige il prezzo che i grandi gruppi riescono a ottenere realizzando produzioni all’estero dove la qualità è relativa – dice Nacci – Noi, invece, dobbiamo puntare sulla qualità che, alla lunga, ripagherà gli sforzi. Anche se in questo momento non sembra la miglior soluzione. Si naviga a vista, perché i mercati come Stati Uniti, Russia e Medio Oriente rappresentano, per vari motivi, sbocchi non proprio agevoli in questa fase».

L’Europa è probabilmente l’area in cui le aziende della provincia di Pisa si stanno muovendo meglio. Ma molto dipende dal prodotto e, soprattutto, dall’esistenza o meno di un committente. «Se si lavora per le griffe, quindi si lavora per conto terzi – dice Luca Sani, presidente di Toscana Manifatture e titolare del calzaturificio Buttero di Stabbia, nell’Empolese – si soffre di meno. E se si realizzano sneaker, l’andamento è addirittura buono. Questo perché, la domanda mondiale di scarpe è orientata verso questa tipologia e le firme internazionali della moda riversano sui fornitori grandi ordinativi. Se non si è dentro questo meccanismo è dura».

L’ideale, secondo Nacci, sarebbe di poter «mischiare il contoterzismo con un marchio proprio». Ma è anche vero che, in un contesto in cui il rublo russo e la lira turca sono svalutate, aumentando i prezzi della merce acquistata all’estero, la possibilità di muoversi con un marchio proprio sui mercati internazionali richiede investimenti ingenti. Che le aziende del nostro territorio difficilmente sono in grado di sostenere.

E allora tutti al Micam, con la speranza che il vento cambi e che gli operatori possano tornare da Milano con un buon numero di ordinativi, in grado di aumentare la produzione e le vendite Made in Pisa.

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