Il Tirreno

Prato

Soldi in Cina, sul Tribunale incombe un maxi-processo

di Paolo Nencioni
La conferenza stampa del 2008. A sinistra l'allora procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso
La conferenza stampa del 2008. A sinistra l'allora procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso

Al via il 17 novembre il procedimento per l’esportazione di capitali che vede alla sbarra 253 imputati. Ma la vera battaglia si gioca sui sequestri

12 novembre 2017
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PRATO. Tra qualche giorno, il 17 novembre, inizierà a Palazzo di giustizia il processo col più alto numero di imputati che si ricordi da quando è stato istituito il Tribunale di Prato, un maxi-processo (per una volta il termine non è abusato) nei confronti di 253 persone accusate di aver inviato miliardi di euro in Cina (secondo la Procura frutto di attività illecite) tramite money transfer col sistema del frazionamento dei versamenti sotto la soglia minima che faceva scattare i controlli.

È l’esito delle inchieste del Nucleo di polizia valutaria della guardia di finanza che furono chiamate Cian Liu e Cian Ba, il cui ricordo inizia a sbiadire perché i primi arresti risalgono al giugno 2010 e nelle foto dell’epoca si vedono l’allora procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, poi diventato presidente del Senato, il sostituto procuratore Pietro Suchan, che ha fatto un’esperienza all’estero prima di diventare procuratore a Lucca, e l’aggiunto Francesco Fleury, nel frattempo andato in pensione.

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Nei successivi sette anni il procedimento si è incagliato, tanto che solo lo scorso 17 febbraio il giudice dell’udienza preliminare di Firenze, Anna Liguori, ha pronunciato le prime sentenze di condanna (quattro funzionari della Bank of China, tre membri della famiglia Bolzonaro che erano in società con la famiglia Cai nella gestione della catena Money2Money, alcuni cinesi) e di assoluzione. Complessivamente sono usciti dal processo 45 degli originari 298 imputati: ne restano dunque 253. Un numero che farebbe tremare tribunali con ben altre risorse e che sarà difficile, se non impossibile, da gestire a Prato. Basti pensare alla questione delle notifiche, che dovevano essere fatte dal Tribunale di Firenze, ma in caso di imprecisioni, come quasi sempre accade, toccheranno a Prato.

E se anche il processo riuscisse a decollare, c’è il problema della prescrizione per la maggior parte dei reati, che potrebbe scattare nella primavera del 2018 nel caso cadesse l’aggravante dei metodi mafiosi, già caduta per alcuni imputati a Firenze.

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La vera battaglia si sta combattendo altrove e riguarda il reale oggetto del processo, cioè il denaro. La Direzione distrettuale antimafia ha iniziato a procedere con le misure di prevenzione patrimoniale, in altre parole sequestra agli imputati beni mobili e immobili nel presupposto che siano frutto di reato, in gran parte evasione fiscale. Si tratta di milioni e milioni di euro. All’inizio il Tribunale di Prato ha respinto molti di questi provvedimenti, poi la Dda ha vinto un ricorso in Cassazione e i sequestri hanno iniziato a fioccare, ma la questione non è definitivamente risolta. Gli imputati cinesi danno battaglia in Tribunale sulle misure di prevenzione perché è lì che si gioca la vera partita.
 

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