Il Tirreno

Prato

Mafia cinese, colpo di scena Scarcerati tutti gli arrestati

di Paolo Nencioni
Mafia cinese, colpo di scena Scarcerati tutti gli arrestati

Il Tribunale del riesame ha accolto i ricorsi dei difensori, vacilla l’ipotesi di un gruppo criminale che sarebbe stato in grado di controllare la comunità orientale. Il “capo dei capi” ai domiciliari

10 febbraio 2018
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PRATO. La mafia cinese a Prato è durata un battito di ciglia, 22 giorni, tanti quanti ne sono passati dall’alba dello scorso 18 gennaio, quando 25 cinesi finirono in carcere nel corso di un imponente blitz ordinato dalla Direzione distrettuale antimafia, al pomeriggio di ieri, quando sono state rese note due ordinanze del Tribunale distrettuale del riesame che ha rimandato a casa (liberi, con l’obbligo di firma o agli arresti domiciliari) tutti coloro che erano in carcere, accogliendo i ricorsi degli avvocati difensori.

Un autentico colpo di scena, oltretutto all’indomani del consiglio comunale straordinario che giovedì aveva dato il via libera alla commissione speciale sulle mafie.

Le motivazioni saranno rese note tra qualche giorno, ma la sostanza appare chiara già ora: il Tribunale presieduto da Maria Elisabetta Pioli e composto anche da Monica Tarchi e Dolores Limongi non avrebbe ravvisato gravi indizi dell’esistenza di un’associazione a delinquere di stampo mafioso, che poi era anche l’unica accusa che prevedeva l’obbligo di custodia cautelare in carcere. Ai giudici restavano da valutare i cosiddetti “reati satellite” legati al 416 bis (usura, estorsioni, sfruttamento della prostituzione, gioco d’azzardo) ed evidentemente, ma questa è solo una deduzione, hanno ritenuto che si trattasse di fatti relativamente lontani nel tempo (anni 2012 e 2013). Dunque potrebbero aver concluso che non c’era più l’attualità delle esigenze cautelari, quantomeno in carcere. Ecco perché hanno deciso di mandare una parte degli indagati a casa, altri all’obbligo di firma, altri ai domiciliari col braccialetto elettronico. Tra questi c’è anche colui che è stato raccontato come il “capo dei capi”, quel Zhang Naizhong che pure nelle intercettazioni telefoniche si vantava di essere il capo della mafia cinese a Prato, che organizzava uno sgargiante matrimonio per il figlio all’Hilton di Roma e si accreditava come un “pacificatore” tra i vari gruppi criminali cinesi in Europa mentre prendeva il controllo di alcune importanti aziende di autotrasporti (da qui il nome dell’inchiesta “China Truck”).

Col senno di poi si può dire che l’inchiesta iniziata dall’allora sostituto procuratore Ettore Squillace e proseguita dai colleghi Eligio Paolini e Tommaso Coletta sotto la supervisione del procuratore capo Giuseppe Creazzo sconta il fatto di essere andata un po’ troppo per le lunghe. Basti pensare che gli accertamenti della squadra mobile di Prato erano praticamente conclusi alla fine del 2013. Poi c’è stato il necessario e complicato lavoro di sintesi e la richiesta delle misure di custodia. Che però è stata presentata dal procuratore Creazzo al gip Moneti il 17 marzo 2016. Da quel giorno sono passati quasi due anni prima che lo ordinanze di custodia fossero eseguite. E dal 24 novembre, quando Moneti ha firmato, non si è trovato il tempo di tradurre l’ordinanza in cinese. Insomma, l’impressione è che i gruppi criminali, ammesso che lo siano, abbiano un passo molto più veloce di quello che riesce a tenere la macchina della giustizia.

Le ordinanze del Tribunale del riesame confermano poi quanto sia difficile contestare l’associazione di stampo mafioso in contesti diversi da quelli in cui le nostre mafie sono radicate. Qui non si può parlare di controllo del territorio con l’uso dell’intimidazione armata che genera omertà. Qui si parla del controllo di una comunità, quella cinese, e del potere che avrebbe accumulato il presunto capo della piovra gialla grazie ai suoi sottoposti. Negli atti dell’inchiesta non mancano certo gli episodi, documentati, di intimidazioni, estorsioni, pestaggi, minacce. Si tratta di capire se queste cose si possano chiamare mafia. Al momento, dice il Riesame, ancora no.

Questa storia, sia chiaro, è ancora tutta da scrivere. Pare scontato che la Procura antimafia faccia ricorso in Cassazione contro le ordinanze del Riesame. Si annuncia una lunga battaglia legale.

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