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Versilia

Il prete pro-immigrati: perdono chi mi critica capisco la rabbia e la paura dei fedeli

Cesare Bonifazi
Il prete pro-immigrati: perdono chi mi critica capisco la rabbia e la paura dei fedeli

Don Giorgio Simonetti, vicario del vescovo a Massarosa, parla delle risposte della chiesa alle tensioni che agitano la società 

20 dicembre 2018
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L’INTERVISTA

Una polemica senza fine quella tra una parte della politica e la chiesa sul tema della migrazione e dell’accoglienza. L’ultimo capitolo è quello dei giorni scorsi: uno dei sacerdoti di Massarosa, don Bruno Frediani, ha ribadito nel giornalino della parrocchia la propria idea di apertura nei confronti dei richiedenti asilo scatenando le ire della rappresentante locale della Lega, Marzia Lucchesi, la quale in una nota ha rimbrottato il prete domandandosi se non abbia «nient’altro da fare». Lucchesi ha invitato Frediani a «occuparsi dei fedeli, sempre più assenti sui banchi delle chiese» oppure dei presepi «ormai scomparsi dalle scuole» facendo notare che nelle classi «non vengono più fatti i canti natalizi». In questa polemica si inserisce don Giorgio Simonetti, parroco di Massarosa e vicario del vescovo, il quale lancia un messaggio di apertura a tutti: «Io capisco da dove proviene la rabbia degli italiani e dei fedeli. Perdono tutti coloro che ci criticano per le nostre idee».

In che senso?

«La nostra società capitalistica è arrivata a un punto tale di cambiamento che le persone hanno bisogno di uno sfogo, di un capro espiatorio. C’è bisogno di incolpare qualcuno della disuguaglianza che si è creata: i poveri sono sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi. Questo non può che ingenerare rabbia e paura in chi si sente schiacciato. Quello che viene frainteso è che il nostro messaggio non è politica».

Ma lo può diventare se in aperto contrasto con un gruppo politico...

«Vede, qui non si parla di partiti ma della parola di Cristo e del nostro Papa».

C’è stata, a suo parere, una crisi nella fede?

«È innegabile che ci troviamo in un periodo storico in cui le persone sono meno presenti in chiesa. Ma le domande profonde sul significato della vita sono sempre le stesse. Noi siamo sempre qui a dare le nostre risposte. Tuttavia è vero anche che mentre prima la società era rurale e la vita di una comunità si svolgeva intorno alla parrocchia, adesso le persone si spostano, vanno a lavorare altrove. I credenti, anche se non vengono in chiesa, conservano la propria fede».

Ma non crede che la chiesa debba fare dei mea culpa?

«Per certi versi sì: le preoccupazioni della vita moderna hanno investito anche i preti: siamo diventati contabili e dobbiamo occuparci dei servizi, della burocrazia e spesso, a parte la messa, dobbiamo sbrigare faccende necessarie che tuttavia ci fanno percepire distanti dalla comunità».

Crede che ci sia una distanza anche in senso ideologico?

«Con il vescovo e gli altri sacerdoti del territorio ne abbiamo parlato spesso: soprattutto con l’avvicinarsi delle elezioni ci siamo interrogati sull’opportunità di affrontare certi temi che possono essere strumentalizzati dalle forze politiche. Non solo credo che certi temi possano, e debbano, essere trattati sempre, ma io stesso non ho intenzione di sorvolare per l’esperienza della mia vita».

Quale esperienza?

«Sono stato in Africa, ho visto le guerre civili. So cosa passano queste persone per venire in Italia ed è per questo che con la parrocchia siamo impegnati da anni nell’accoglienza dei migranti nelle nostre case. Io li ho accolti a casa mia».

E cosa ne pensa dello slogan “prima gli italiani”?

«Le nostre porte sono aperte a chiunque: italiani e non italiani. Non solo abbiamo persone extracomunitarie nei nostri alloggi ma, di tanto in tanto, quando ce n’è stato bisogno, abbiamo dato riparo e un posto caldo all’interno dei locali parrocchiali anche persone in difficoltà. Non potremmo farlo ma, quando si tratta del nostro messaggio di apertura, non ci sono distinzioni».

Cosa ne pensa dei recenti episodi di bullismo all’interno delle scuole massarosesi?

«Nella nostra esperienza di sacerdoti abbiamo a che fare spesso con giovani e ragazzi. Ci siamo resi conto di come sia difficile avere a che fare con le nuove generazioni che non hanno più sfoghi e sentono di non avere più prospettive». –

Cesare Bonifazi

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