Picchiati a scuola, in Italia e in Marocco

Quella che racconta Armanda è una storia di immigrazione dove tutto è al rovescio
Quella che racconta Armanda è una storia di immigrazione dove tutto è al rovescio

Grazie ad Armanda Salvatori, Milano

“Questa storia vera di cui sono diretta testimone riguarda una famiglia marocchina che vive nel nostro paese da più di vent’anni, perfettamente integrata e con acquisita cittadinanza italiana.
I genitori lavorano entrambi, la signora (alla quale sono molto affezionata) è da tempo  la mia collaboratrice familiare, i figli (quattro) vanno tutti a scuola”.

“Anni fa dopo uno dei tanti attentati mi racconta preoccupata quanto sta accadendo al suo terzogenito che frequenta la V elementare; il bambino, accusato di essere un terrorista perché musulmano, subisce aggressioni anche fisiche sia durante le lezioni che fuori della scuola. Alla richiesta della mamma l’insegnante le risponde che un mese prima è stato distribuito in classe (senza che nessun genitore ne sia stato informato) un questionario per sondare le opinioni dei bambini su quanto di terribile sta succedendo in Europa; in quel contesto il bambino ha indicato con una crocetta una delle tre possibili risposte e questo ha generato in classe un vivace conflitto anche tra la stessa insegnante e il bambino. La mamma si mostra desolata, ma anche sorpresa di non essere stata messa a conoscenza di tutto questo, l’insegnante aggiunge che essendo musulmani se lo devono aspettare”.

“I due genitori, sconcertati, mi chiedono consiglio; cerco di aiutarli (sono una psicologa) parlando io stessa con il bambino (che ha 10 anni). Gli atti di bullismo continuano senza che gli insegnanti prendano posizione, il rendimento scolastico del bambino crolla fino al rifiuto di andare a scuola.
La mamma prende allora la decisione di tornare coi figli in Marocco, il marito sarebbe rimasto a lavorare in Italia. Finita la scuola in estate partono  tutti per facilitare iscrizione e inserimento al futuro anno scolastico in quello che considerano il loro paese”.

“A metà ottobre ricevo la telefonata della donna piangente per quanto sta accadendo in Marocco: tutti i figli, dalla piccola che frequenta l’asilo al più grande che fa la scuola professionale, subiscono violenze da parte dei compagni di scuola perché, pur parlando perfettamente arabo ed essendo la famiglia praticante, non sono considerati musulmani “doc” perché nati in Italia”.

“I modelli educativi delle scuole pubbliche del posto sono come furono nelle nostre scuole un secolo fa, la punizione fisica da parte degli insegnanti è ritenuta normale: per i quattro ragazzi è terrorizzante!  Le autorità scolastiche del posto rispondono che se non va bene così, se ne tornino in Italia. La mamma mi dice di non potersi permettere scuole private, forse più simili alle nostre”.

“Per non compromettere gli studi dei figli durante le nostre vacanze natalizie decidono di tornare in Italia dove la loro vita da marocchini/italiani riprende e continua tutt’ora nella periferia milanese.
Mi chiedo che peso avrà nella crescita di futuri cittadini europei non essere accettato in nessuno dei paesi, sia quello di origine dei tuoi genitori, sia dove tu sei nato. Quanto può essere doloroso nella propria infanzia e adolescenza crescere e maturare un’identità quando sei comunque discriminato perché ‘non sei come uno di noi’. Che conseguenze”.