I miei nipoti entusiasti della nonna fascista

Maria Cristina, che tutti chiamano Cristina, a quattro anni con suo fratello Marcello
Maria Cristina, che tutti chiamano Cristina, a quattro anni con suo fratello Marcello

Grazie a Maria Cristina Cattabriga, Roma

“Sono una Figlia della lupa di 82 anni. Sono stata allieva della Scuola Ermenegildo Pistelli di Roma – dalla I alla III elementare. Era la scuola Leader Nazionale del Fascismo. Tutti i film Luce sono stati girati lì. Ricordo tutto – anche i dettagli. Avevo pensato di scrivere almeno un libro, come testimonianza prima che fosse troppo tardi, e avevo pensato di intitolarlo proprio ‘Io ero una figlia della lupa’. Sarebbe dovuto essere ironico, amaro. Che errore!”.

“A tavola, con i miei nipotini di 11/12 anni, ho cominciato a raccontare della militarizzazione dei bambini dai 5 anni. Le divise nel Sabato Fascista, il saluto fascista fra i capoclasse, con la fascia tricolore sul braccio, quando marciavano per tre, nei corridoi – ed i due capoclasse in testa, da soli. Il solenne alzabandiera del sabato, e poi il canto degli inni. Beh, catastrofe. I miei nipotini erano ENTUSIASTI. Tutto gli piaceva: la divisa, l’alzabandiera, l’inno. Avrebbero voluto esserci anche loro. Militarizzati”.

“Scrivo a lei, mia ultima testimone, per raccontarle qualche dettaglio del quale non ho mai sentito parlare – ma che agli storici interesserà (gli storici sono sempre interessati anche ai minimi dettagli – per esempio, che la Regina cuciva le camicie per Re Enrico VIII, ed Anna Bolena si arrabbiava moltissimo)”.

“Nel Sabato Fascista, noi bambine dovevamo portare a scuola tutto quello che poteva servire alla Patria. Il metallo, ovvio. Il vetro. Ma, i capelli? Nessuno parla dei capelli. Ci veniva consegnata una lunga busta di carta dove dovevamo mettere tutti i capelli che venivano tagliati ‘in famiglia’. Servivano ‘Per le maglie per i nostri soldati. Autarchia. Si pesava tutto, e ogni settimana si consegnava una medaglia alla bambina aveva portato di più. La imbattibile rivale era Marina F., figlia di un farmacista. Solo una volta riuscii a batterla, quando portai una vaschetta di alluminio per il bagnetto dei neonati. Il mio fratellino era cresciuto! Che trionfo”.

“C’erano anche dei premi per merito. Il primo premio era il ritratto del Re Imperatore. Il secondo, il ritratto del Duce. Il terzo un depliant a colori con scritte e figure contro le ‘Inique Sanzioni’ – erano raffigurate l’Inghilterra e la Francia, bruttissime e cattivissime, che ci volevano divorare”.

“Si faceva la torta di carote. Non si trovava lo zucchero, ma una mamma si ricordò che le carote contengono zucchero – e così a ogni festa di compleanno c’era sempre la stessa torta. Ci insegnavano molti inni da cantare in coro, li ricordo tutti. Il preferito era ‘I sommergibili’, lo trovavamo avventuroso. La seconda strofa era: ‘Andar – nel vasto mar – ridendo in faccia alla morte e al destino – colpir – e seppellir – ogni nemico che si incontra sul cammino!’. Avevamo 5 anni”.

“Quando ne avevo 7 cambiammo casa, fui iscritta a una scuola di suore, il Cicerone (ora c’è un albergo). Il primo giorno tornai a casa indignata. ‘Mamma, in che scuola mi hai messo? Non si parla mai del Re e del Duce ma solo della Madonna, non ci sono nastri tricolore, ma soprattutto non c’è disciplina!’. Cara Concita, è proprio così che si plagiano gli esseri umani”.