Se fossi in lei accetterei

Mario, corona verde, con tutta la sua meravigliosa famiglia
Mario, corona verde, con tutta la sua meravigliosa famiglia

Questa lettera è di Mario Ognissanti, Rector emeritus, Stoccolma

Il 16 marzo del 1978 avrei dovuto discutere la mia tesi di storia economica sulle origini del Fascismo.  Per ovvi motivi non potei farlo e la cerimonia fu rimandata al giorno dopo, il secondo giorno del sequestro Moro. I professori Ciano e Kirby vollero darmi la lode e questo mi stupì molto perché negli ultimi 5 anni, invece di fare il bravo studente, avevo girato avanti e indietro per la Scandinavia; certo avevo imparato una nuova lingua e soprattutto un nuovo modo di stare al mondo, ma insomma: mi meravigliai molto. Il professor Ciano mi fece il più bel complimento che un professore mi abbia mai fatto: ‘Ognissanti, se non si desse a lei, potremmo chiudere gli sportelli’”.

“Con la lode in tasca e diverse lingue nello zaino pensavo di avere facilità a trovare un posto di lavoro nella scuola, perché quello era chiaro, avrei fatto l’insegnante: il professore che avrei voluto avere io a scuola, un po’ come il mio ammiratissimo Domenico Settembrini, ma molto meno colto e molto più scafato”.

“Le lungaggini e le scemenze dei concorsi a cattedre mi fecero fuggire di nuovo, per non parlare dei colleghi, poveri ragazzi che si sarebbero ritrovati sulle spalle quella maledetta orda infelice. Cos’era diverso in Svezia? Tutto. Se uno rispondeva una cosa diversa, anzi antitetica a quella del professore, il professore si fermava, ci pensava un po’ su e ti diceva, interessante, Mario, puoi svolgere questo argomento un po’ più a fondo? A Pisa ero abituato che uno che non la pensava come la professoressa beccava quattro. Ti pare poco? La scuola italiana era un imbuto macinatutto, una castrazione chimica, e venire in Svezia era come aprire la finestra in una giornata di primavera”.

“Vi racconto cosa successe a uno dei miei figli, bravo matematico. Lo presero a insegnare in facoltà a 21 anni e a 24 si era liberata una cattedra. Fra i tantissimi che fecero domanda c’erano mio figlio ed il figlio del preside. Arrivarono in fondo loro due, indovinate chi presero? Proprio lui, mio figlio, e non so neanche se fosse migliore dell’altro, ma, sapete la storia della moglie di Cesare. Non ci doveva neanche essere il minimo dubbio che la scelta fosse stata dettata da un criterio diverso dal merito”.

“Nel 2001 mi offersero di tenere un corso di svedese alla mia facoltà, sarebbe stato bello ritornare da dove ero partito con un incarico così e il rettore mi disse giusto, Ognissanti, se fossi in lei accetterei. Fortunatamente ebbi il sangue freddo di rifiutare, non fu facile, ma mi avevano offerto la presidenza qui in Svezia e puntai su quello”.

“Dopo tanti anni, ormai, 45, in Scandinavia, Rector emeritus e tutto, è tempo di tirare le somme. Reputo un grande privilegio di essere nato italiano, l’Italia mi ha dato tutto, bellezza, sapori, ideali, ma sono anche strafelice di essere svedese, perché la Svezia mi ha insegnato una cosa di gran lunga più importante, l’etica, senza la quale è duro e forse inutile vivere. Da noi gli altissimi ideali che avevamo da ragazzi non si sono affermati, mentre in Svezia una molto concreta solidarietà e una solida etica sociale mi hanno aiutato a crescere e a dare il meglio di me”.