Sono mesi che i venti di guerra soffiano sulla penisola coreana ed il sospetto è che il crescente fabbisogno di notizie 'estreme' e di catastrofismi quotidiani li abbiano sospinti più del lecito. Il rischio di premere il bottone del 'non ritorno' c'è stato e, onestamente, c'è ancora. Ma i recenti sviluppi indicano che, probabilmente, nessuno oggi è così sconsiderato: né il pittoresco dittatore nordcoreano Kim Jong-un, né tantomeno l'altrettanto cinematografico presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. L'ultimo scambio di battute tra i due, oltretutto, potrebbe fornire spunti alla satira più sfrenata o a qualche pellicola del genere demenziale che proprio negli Stati Uniti ha toccato livelli da cinema cult.

Kim e Trump, tante cose in comune

Kim e Trump hanno diverse cose in comune, a parte un discutibile taglio di capelli. Entrambi sono mossi da un desiderio di affermazione internazionale e dal bisogno quasi vitale di 'fare notizia'. Per Trump è molto più facile, è il capo della prima potenza economica e militare del pianeta, un presidente 'storico' perché è stato il primo neofita della politica ad entrare alla Casa Bianca. Kim guida invece uno 'Stato eremita', uno degli ultimi avamposti di un comunismo anacronistico fermo più o meno agli anni '70, quando era ancora in corso la Guerra Fredda. In realtà di lui sappiamo poco, sul suo conto le 'leggende metropolitane' sono fin troppe e molte sono state smentite.

La Corea del Nord rimane una sorta di 'reperto archeologico' sul quale grava una coltre di silenzio e di mistero. Utile nello scacchiere compreso tra la Cina ed il Sol Levante, elemento distabilizzatore di quella che, in sua assenza, sarebbe la completa egemonia americana sulla regione. Dunque alleato scomodo, ma necessario di Pechino e 'benedetto' in qualche modo anche dalla Russia.

Nel 2017, Kim Jong-un si è improvvisamente trasformato nel nemico pubblico numero uno ed è diventato un problema internazionale. A rifletterci in maniera obiettiva, la sua condotta provocatoria ed insolente è stato un comodo 'assist' per Donald Trump, per distrarre i media dai disastri della politica estera di Washington in Medio Oriente.

'Vecchio', 'basso', 'grasso'

L'ultimo scambio di battute tra i due, oltretutto, riesce quasi a farci sorridere. Non è la prima volta che Kim definisce 'vecchio' il suo omologo statunitense e dal suo punto di vista di un giovane capo di Stato non è nemmeno un'affermazione infondata, visto che tra i due ci sono 38 anni di differenza anagrafica (Trump ha 71 anni, il dittatore nordcoreano ne ha 33). Stavolta però TheDonald ha risposto affidandosi come sempre al suo account Twitter. "Mi offende chiamandomi vecchio, io non gli direi mai che è basso e grasso", è la frecciata del presidente americano. Certo il sorriso svanisce se pensiamo che si tratta di due capi di Stato impegnati in un dialogo a distanza che ha assunto toni a dir poco puerili.

L'inquilino principale della Casa Bianca aggiunge inoltre di trovare "difficile la possibilità di una futura amicizia con Kim", sottolineando però che "forse un giorno succederà". Magari il viaggio in estremo oriente, il colloquio intenso con Xi Jinping ed il veloce scambio di battute con Vladimir Putin ha lievemente ammorbidito la linea di Washington, aprendo la strada a futuri negoziati. Al momento è una tenue fiammella di speranza, alla luce dell'arsenale militare che Trump ha piazzato a ridosso della penisola coreana. In questo arco di tempo Kim Jong-un si è guardato bene dall'ordinare nuovi test missilistici, magari è meno pazzo di ciò che si ritiene in occidente o, forse, attende solo il momento propizio.

Non abbiamo risposte certe in merito.

Trump contro i servizi segreti USA

Quel che sembra certo, invece, è che in mancanza di guerre tangibili, Donald Trump trova il tempo di scatenarne una tutta americana con i propri servizi segreti. Nel breve colloquio con Putin in Vietnam, oltre ad aver gettato le basi per una soluzione politica in Siria, Trump ha ribadito al suo omologo russo la sua fiducia e l'assoluta convinzione che non ci sono state interferenze del Cremlino sul voto che lo ha portato alla guida del Paese. Da New York alcuni esponenti dei servizi segreti che hanno indagato sulla questione sono andati su tutte le furie. "Il presidente Trump dovrebbe vergognarsi per aver screditato i propri servizi di intelligence" ha detto l'ex direttore della CIA, John Brennan che a sua volta è stato definito dallo stesso presidente "un venduto".

Pesantissima la controreplica. "Vista la fonte di questa affermazione, la considero un onore", ha tagliato corto Brennan. Dure critiche anche da parte di James Clapper, ex direttore della National Intelligence. "Semplicemente sconcertante - ha detto - che Trump non abbia richiamato Putin per aver interferito sulle elezioni presidenziali. In qualche modo il presidente appare intimidito da Putin o forse impaurito da ciò che potrebbe scaturire dalle indagini sul Russiagate. Un comportamento inquietante ed un pericolo per la sicurezza nazionale".