La fiction Gomorra La serie, giunta alla sua terza stagione, è solo una rappresentazione folcloristica della camorra, diseducativa per i giovani, oppure si tratta di arte cinematografica che non va censurata in alcun modo? Sostenitori della prima tesi sono due importanti magistrati da anni in prima linea nella lotta alle mafie: Giuseppe Borrelli (procuratore aggiunto della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli) e Nicola Gratteri (procuratore di Catanzaro). A difendere Gomorra, invece, c’è l’attore Marco D’Amore, protagonista della fiction nel ruolo di Ciro Di Marzio ‘l’immortale’.

Le accuse di Borrelli a Gomorra

A riaprire la polemica sul significato che le fiction sulla criminalità organizzata ricoprono, soprattutto in senso diseducativo rispetto alle giovani generazioni, è stato il procuratore aggiunto della Dda di Napoli Giuseppe Borrelli. Intervistato dalla Gazzetta del mezzogiorno nei giorni scorsi, Borrelli ha parlato di rappresentazione “folkloristica” della camorra messa in scena da Gomorra. Secondo Borrelli, infatti, la serie che narra le gesta di Jenny Savastano e dello stesso Ciro l’immortale, sarebbe solo una “rappresentazione parziale” della realtà. Oggi che la camorra riesce ad esprimere addirittura una “propria classe dirigente”, ha aggiunto il magistrato, quella raccontata in Gomorra “è un’entità paradossalmente tranquillizzante, perché consente di differenziarsi”.

Il giudizio durissimo di Gratteri

Giudizi ancor più pesanti, se possibile, sono quelli espressi da un altro magistrato antimafia, Nicola Gratteri. Intervistato oggi dal Fatto Quotidiano, Gratteri non se la prende solo con Gomorra, ma anche con altre fiction storiche come Il Padrino, La Piovra e Il Capo dei capi che offrono, a suo modo di vedere, “un’immagine stereotipata e romanzata delle mafie”.

L’idea del procuratore calabrese è che libri, film e opere d’arte debbano avere anche una funzione educativa per gli spettatori, invece che indurre i ragazzi delle scuole a vestirsi ed esprimersi come i protagonisti della pellicola. Il rischio, secondo Gratteri, è quello di creare “lo stereotipo di una piovra invincibile” perché i criminali vengono descritti come “personaggi positivi, uomini di potere, uomini di parola e uomini che sanno imporsi”.

La risposta di Marco D’Amore

A difendere le ragioni di Gomorra, e del cinema in generale, ci pensa Marco D’Amore, il famigerato Ciro Di Marzio l’immortale della serie diretta da Stefano Sollima. Raggiunto dal Corriere della Sera, D’Amore paragona Gomorra alla serie americana I Soprano, raccontata con molta “libertà”. Secondo l’immortale “la nostra è una fiction, non un documentario”, per questo “siamo liberi di raccontare la savana dal punto di vista del leone o della gazzella”. Anzi, aggiunge D’Amore, criticare in maniera esagerata Gomorra può portare persino al “rischio di scivolare nella censura”. Al contrario di quel che affermano Gratteri e Borrelli, Gomorra rappresenta un “fortissimo atto di denuncia contro la camorra”. E, comunque, conclude Marco D’Amore, “tutto ciò che accade in Gomorra viene raccolto dalla realtà, dalle carte processuali. Non è invenzione”.