L'anno scorso di questi tempi era già in corso una surreale campagna referendaria, densa di colpi bassi da tutte le parti, caratterizzata da beceri giustizieri da social network che mettevano in guardia gli italiani su brogli inesistenti con fake news su schede sequestrate e matite cancellabili e da una collezione variegata di insulti. Il risultato, lo scorso dicembre, vide la maggioranza dei votanti bocciare la riforma costituzionale messa a punto dal ministro Maria Elena Boschi, autentica pietra angolare del governo di Matteo Renzi che, infatti, nemmeno un'ora dopo l'ufficializzazione dell'esito referendario annunciò le proprie dimissioni.

Bastava però leggere le cifre del referendum per rendersi conto che quella del premier era stata una sconfitta indolore. Aveva promesso di dimettersi, lo ha fatto consapevole di possedere ancora una maggioranza in parlamento che gli avrebbe consentito il rimpastone di governo. Paolo Gentiloni premier, qualche nuovo ministero, qualche spostamento, ma in fin dei conti è la stessa compagine renziana. Il fronte dei favorevoli alla riforma ha sfiorato il 41 %, il fronte del NO ha vinto con poco più del 59. Potrebbe sembrare una batosta, ma non lo è visto che da un lato c'era il Pd, per giunta depredato dalla 'ribellione anti-renziana' che ha poi portato alla scissione e dall'altro quella che lo stesso ex premier ha definito 'un'accozzaglia'.

Può suonare offensivo, ma il fronte del NO aveva un aspetto invero trasversale se pensiamo al voto comune di grillini, leghisti che si sono improvvisamente riscoperti nazionalisti, moderati che tale riforma l'avrebbero volentieri elaborata ai tempi dei massimi splendori berlusconiani, costituzionalisti veri o improvvisati, estremisti di sinistra e di destra, cattolici ed ex 'mangiapreti'.

Paradossalmente, il bottino di voti incassati in favore della riforma Boschi era un fertile giardino da innaffiare in vista di Elezioni Politiche ancora lontane. Il modo in cui questa serra si è inaridita chiama Matteo Renzi alle sue responsabilità e ne denota il maggiore difetto, il peggiore per un leader politico: la presunzione.

La crisi del PD

Libero da impegni di governo, l'ex presidente del Consiglio ha iniziato a lavorare per le battaglie politiche imminenti, gli appuntamenti amministrativi e regionali che possono in qualche modo rappresentare le prove generali per le Politiche, anche se spesso si rivelano poco omogenee con le stesse. Prima però ha dovuto confrontarsi con l'anima 'scissionista', la corrente 'bersaniana' che ha lasciato la casa-base dando vita all'ennesima creatura politica di sinistra. Poi è inciampato sui 'latinismi', quelli che sono sulla bocca di tutti gli italiani e stanno ad indicare le riforme elettorali: consultellum, italicum, tedeschellum, rosatellum, un mare magnum caratterizzato da accordi ufficiosi, intenzioni di voto parlamentare disattese, franchi tiratori, polemiche senza fine.

In mezzo ci sono state le elezioni amministrative che, sulla carta, hanno mostrato il lato debole del Movimento 5 Stelle ed hanno resuscitato il centrodestra. Il bilancio del PD non è certamente da incorniciare, considerato che ai ballottaggi i renziani hanno ceduto ben 39 comuni alla rinnovata alleanza Forza Itaia-Lega-Fratelli d'Italia, tra cui la storica 'roccaforte rossa' di Genova. Non sono segnali positivi, come non sono salutari le beghe interne allo stesso partito con i casi Ius Soli e Bankitalia. Il prossimo impegno elettorale sembra inoltre la cronaca di una disfatta annunciata.

Sicilia: nuvole nere in vista

Stando ai sondaggi che, a meno di un mese dalle Elezioni Regionali in Sicilia (5 novembre) danno il candidato del PD nettamente in ritardo rispetto al centrodestra ed al M5S, Matteo Renzi dovrà tirare fuori qualcosa di estremamente serio e tangibile per convincere gli italiani che il suo partito è in salute.

Le ultime previsioni di voto danno in volo tanto il candidato del centrodestra, Nello Musumeci, quanto l'esponente pentastellato Giancarlo Cancellieri. Qui il PD paga, una dopo l'altra, alcune delle presunzioni del suo leader. In primo luogo la scissione del centrosinistra che presenta due candidati e che disperderà inevitabilmente i voti dell'area progressista; in secondo, ma non meno importante, la scelta di affidarsi ad un 'insolito ignoto', il neofita Fabrizio Micari che risulta sconosciuto anche a parte degli elettori del PD. L'altro candidato del centrosinistra è Claudio Fava che con la lista 'Cento Passi per la Sicilia' ha avuto il merito di riunire sotto un'unico vessillo Articolo 1-Mdp, Sinistra Italiana, Rifondazione Comunista e Verdi.

I sondaggi li danno vicini, se Fava dovesse raccogliere più preferenze di Micari sarebbe una beffa clamorosa, ma anche un danno gravissimo che riaprirebbe il dibattito sulle scelte del segretario del PD e finirebbe in qualche modo per minare la sua leadership.

Le strategie degli avversari

Se la nave affonda, la colpa è quasi sempre del comandante ed in questo momento la molto presunta corazzata di capitan Matteo naviga in acque tempestose. Le bufere, invece, sembrano già alle spalle degli avversari politici le cui scelte di leadership stanno avendo il merito di ricompattare i rispettivi fronti. Luigi Di Maio è stato incoronato candidato premier e leader del M5S ed alcuni hanno storto la bocca, sottolineando che era l'unico candidato di peso alle primarie online dei grillini e, pertanto, la sua vittoria era scontata.

Verissimo, ma non contestabile: era una scelta ponderata da tempo, le consultazioni alle quali hanno partecipato meno di 38 mila militanti sono state semplicemente una passerella, alla fine non diversa dalle primarie che ormai da danni caratterizzano le scelte di leadership del centrosinistra. Beppe Grillo ha fiutato l'aria da tempo, il suo movimento oggi aspira a governare e per farlo ha bisogno del più politico dei suoi 'delfini'. Un buon risultato elettorale in Sicilia che i grillini considerano la prova generale per le Politiche del 2018, metterebbe in archivio le tensioni accumulate negli ultimi mesi e confermerebbe la presenza solida del movimento nella regione più a Sud d'Italia, nonostante lo scandalo palermitano delle firme false.

Più controversa la situazione del centrodestra: Silvio Berlusconi è sceso nuovamente in campo anche se sappiamo tutti che non è candidabile, salvo sentenza della Corte UE. Ma indipendentemente dall'aspetto ufficiale, sta già conducendo la campagna elettorale del centrodestra dimostrando ancora una volta di esserne l'indiscusso ed autentico leader. Con buona pace di Matteo Salvini, perché le elezioni in Italia si vincono con i moderati e non con gli estremisti. Certo, se la Corte dell'Unione non darà ragione al ricorso del Cavaliere, bisognerà trovare un candidato premier alternativo.

Il treno della discordia

Matteo Renzi fa finta di ignorare i suoni di riscossa che giungono dagli accampamenti nemici ed in testa al suo convoglio ferroviario 'Destinazione Italia' sta tastando il polso agli elettori.

Alla luce delle tante contestazioni incontrate sulla sua strada, il treno del PD rischia seriamente di deragliare, perché quella che dovrebbe essere una campagna per rilanciare l'immagine dell'ex premier, si sta trasformando in un tiro al bersaglio. I nodi stanno venendo al pettine, certamente non quelli relativi alla sconfitta referendaria, ma quelli che si sono formati immediatamente dopo. I sondaggi politici in questo momento sono una miriade, alcuni lo vedono in rimonta, altri in caduta, un pò tutti segnano la ripresa del centrodestra e l'altalena del M5S. Lasciano il tempo che trovano, il voto per le Politiche è ancora lontano, ma non tira aria buona per il PD e per l'ex rottamatore Matteo Renzi, perché gli unici rottami che sta lasciando lungo il cammino sono, per il momento, quelli del suo partito.