2017-09-30 13:14:00

Slovacchia. È beato don Tito Zeman, martire delle vocazioni


di Roberta Barbi

Faceva freddo e tutto era coperto di neve, quell’11 gennaio 1969 nel cimitero di Vajnory, vicino Bratislava - allora ancora Cecoslovacchia - dove si svolgeva il funerale di don Tito Zeman, il sacerdote che questa mattina è stato beatificato nella Chiesa della Sacra Famiglia della capitale slovacca. A celebrare era don Andrej, ispettore locale dei Salesiani, che pronunciò, commosso, la sua omelia: “Ci incontriamo nel cimitero come i primi cristiani nelle catacombe – disse – forse è così per noi religiosi, la vita ci disperde, invece la morte ci riunisce”.

La morte si era portata via don Zeman appena cinque anni dopo il suo rilascio dalle terribili prigioni comuniste slovacche dove il regime dal 1950, dopo aver vietato gli ordini religiosi, deportava e rinchiudeva sacerdoti e suore. Sfuggito alla “Notte dei barbari” del 14 aprile, in cui razziarono conventi e monasteri, fu poi arrestato durante la terza delle spedizioni che effettuò verso Torino – dove si trova la Casa Madre dei Salesiani – per portarvi 60 giovani seminaristi e farli continuare a studiare fino all’ordinazione. Per questo fu accusato di spionaggio, alto tradimento e attraversamento illegale dei confini e condannato a 25 anni di carcere.

“Fu arrestato perché aiutava seminaristi e sacerdoti a espatriare per realizzare il loro ideale apostolico. Fu, quindi, condannato per alto tradimento ai lavori forzati – ricorda il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi - fra l'altro fu destinato all'orrore della cosiddetta "Torre della Morte". Qui egli era costretto a lavorare a mano la pechblenda, per ricavarne l'uranio. A un controllo medico gli misurarono la radioattività del corpo, trovandola elevatissima. Per questo era diventato un "mukl", un uomo, cioè, destinato all'eliminazione fisica. Le pesanti irradiazioni, il freddo, l'usura delle forze e la consapevolezza di essere uomini da sopprimere come insetti, rendevano il cosiddetto posto di lavoro un autentico campo di sterminio”.

Don Tito era nato proprio a Vajnory nel 1915, primo dei dieci figli di una fervente famiglia cristiana. A 25 anni era già sacerdote, caratterizzato da una fede forte per cui gli bastava intuire per credere e intravedere per sperimentare la grazia. Durante la festa per la sua prima Messa pare fosse stato trovato del sangue dentro alle focacce che alcune donne avevano cotto per lui e subito questo fu interpretato come un segno di futuro martirio. Un’ipotesi che don Tito non rifiutava, ma considerava parte dell’impegnativo apostolato dell’educazione dei giovani che era la sua missione.

Don Bosco ripeteva spesso che, quando un salesiano soccombe, lavorando per le anime, la Congregazione avrà riportato un grande trionfo – prosegue il card. Amato - il grande educatore della gioventù parlava non solo di quel logorante martirio quotidiano, che è la carità pastorale verso i giovani, ma anche del martirio cruento. «Se il Signore nella sua Provvidenza volesse disporre — egli diceva — che alcuni di noi subissimo il martirio, ci dovremmo per questo spaventare?»”.

Non fu il primo né l’ultimo dei martiri salesiani, don Tito, colpevole solo di aver professato la sua fede in un periodo in cui vescovi, sacerdoti e laici venivano perseguitati, le scuole cattoliche soppresse e i loro beni confiscati. Fiaccato nel corpo dalla triturazione manuale dell’uranio e dalle continue torture durate tutti e 10 gli anni di prigionia, il suo spirito e la sua fede ne uscirono, invece intatti, come il suo amore, immutato e totale, per i giovani e che è aspetto fondamentale dell’apostolato salesiano:

“Ci sono altri due aspetti: anzitutto c'è la carità pastorale, che porta i Salesiani e le Salesiane a dare la vita per preservare i giovani dal male di ogni ideologia perversa. In secondo luogo, la preghiera «da mihi animas" unita al «cetera tolle» per Don Bosco, come anche per Don Tito, significa la salvezza dei giovani a costo della libertà e della vita – conclude il card. Amato - martire per le vocazioni si può, quindi, definire il Beato Tito Zeman. Egli amava la sua vocazione di salesiano e di sacerdote e desiderava che anche altri giovani vivessero nella libertà il sogno della loro consacrazione al Signore”.

 








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