Feb
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INFOGRAFICA_oltre40 Tratta esseri umani La Città Nuova

Quanto si guadagna sul traffico di esseri umani?

Adrian che vive segregato in un’azienda agricola del mezzogiorno. Lavora nei campi per 10 ore al giorno e poi come custode nelle altre. Prende 25 euro al giorno, da cui il suo datore di lavoro ne detrae 10 o 15, per vitto e alloggio. Jamilah invece aspetta i suoi clienti nella piazzola di una strada provinciale del Milanese e deve ripagare un debito di 70 mila euro ai trafficanti di esseri umani che l’hanno portata in Italia dalla Nigeria. La prostituzione coatta, lo sfruttamento lavorativo e la tratta degli esseri umani sono i volti principali della schiavitù moderna in Italia: un fenomeno che coinvolge nel nostro Paese oltre 200 mila persone. Nel mondo questi “schiavi invisibili” sarebbero invece addirittura 40 milioni. Numeri emersi a Milano, in occasione della Giornata Mondiale contro la Tratta di Persone, che è stata celebrata con un convegno al Pime, promosso in collaborazione con Mani Tese e Caritas Ambrosiana. Un tema urgente, che tuttavia stenta a entrare nell’agenda politica dei governi. Eppure porta un profitto illegale di 150 miliardi di dollari l’anno nelle tasche delle organizzazioni criminali che gestiscono la tratta, come denuncia Mani Tese nella campagna “I exist”.

Questi mercati del lavoro paralleli, oltre a fondarsi sulla sistematica violazione di diritti fondamentali dell’uomo, determinano un enorme costo in termini di evasione fiscale e alterano significativamente la concorrenza, pregiudicando i diritti delle imprese che rispettano le regole. “Milioni di persone nel mondo non hanno la libertà di dire no allo sfruttamento e al lavoro schiavo” spiega Chiara K. Cattaneo, program manager della campagna. Sono i “working poors”: persone che lavorano ma restano nella soglia di povertà, come ha spiegato Leonardo Becchetti, professore di Economia Politica a Tor Vergata. “La diseguaglianza fra i salari fra una nazione e l’altra è un’enorme questione politica. Quasi il 40 per cento dei lavoratori del settore tessile in Asia ha stipendi che sono inferiori al salario minimo che è già un quarto di quello di sopravvivenza. Così questa forza lavoro fa concorrenza al ribasso ai nostri lavoratori, che non hanno più potere contrattuale. Ma le disuguaglianze si traducono in crisi finanziarie”.

Come dare il proprio contributo per evitare che milioni di persone finiscano a fare un lavoro da schiavi? “Esercitando il cosiddetto “voto col portafoglio”, cioè scegliere aziende che portano avanti il rispetto per i dipendenti e per l’ambiente. Il sito Eyeonbuy.org aiuta a trovarle. Mentre il motore di ricerca “Lilo.org” coi proventi pubblicitari sostiene alcune cause che possono essere scelte dagli utilizzatori”. Ma qualcosa sta cambiando anche nella finanza: “Le aziende ambientalmente sostenibili valgono di più delle altre: i più importanti fondi d’investimento oggi misurano quanto inquina il loro portafoglio di titoli e vendono quelli che inquinano di più”. Quanto allo Stato, “Quando assegna gli appalti non dovrebbe scegliere il massimo ribasso, perché si rischia di sfruttare i lavoratori. Lo Stato deve passare dal massimo ribasso all’offerta più vantaggiosa e questo cambiamento è già cominciato ma ci sono resistenze enormi. E poi dovrebbe introdurre i dazi antidumping: i prodotti di aziende in cui il salario è sotto al tasso di sopravvivenza vanno tassati, gli altri favoriti”.

Il settore dell’edilizia, dell’agricoltura, degli stabilimenti manifatturieri, della produzione tessile, del lavoro domestico, della pesca, del turismo e del mondo dello spettacolo, sono – secondo la Caritas – tra gli ambiti lavorativi che maggiormente fanno registrare situazioni di grave sfruttamento del lavoro. Tra gli esseri umani sfruttati, i lavoratori migranti e coloro che si trovano in situazioni di povertà o di fuga da conflitti sono, per la loro vulnerabilità, tra le principali vittime. Per questo, in Campania, Lazio, Puglia, Sicilia, Calabria e Piemonte quattro anni fa la Caritas ha lanciato il “progetto Presidio” per contrastare lo sfruttamento lavorativo e aiutare i lavoratori che vivono in baracche senza luce, acqua e servizi igienici. Sono stati attivati presidi fissi e mobili con operatori che offrono ai “nuovi schiavi” assistenza sanitaria e consulenze legali, in un clima di forte tensione e intimidazioni. “È però lo sfruttamento sessuale la tipologia di tratta di esseri umani più presente in Italia seguita da sfruttamento lavorativo, dall’accattonaggio e poi dal traffico di organi. La novità rispetto agli scorsi anni è che questi traffici sono molto più interconnessi di quel che sembra. – racconta Mirta Da Pra del Gruppo Abele -Un tempo arrivavano donne forti, ma adesso sempre meno, adesso le organizzazioni scelgono le più vulnerabili. Dall’Est scelgono le orfane o chi vive in istituto, dall’Africa quelle delle famiglie più numerose”.

Riuscire a fermare la tratta è una sfida grande e il Gruppo Abele chiede che nei centri di prima accoglienza ci sia un responsabile antitratta, in grado di intercettare la presenza di vittime e sfruttatori. Va inoltre prestata maggiore attenzione alla prostituzione al chiuso: le ordinanze antiluccciole adottare da molti comuni “Non hanno risolto, ma hanno di fatto legalizzato lo sfruttamento sessuale”. Fiammetta Casali dell’Unicef ha invece sottolineato come sia l’istruzione la chiave di volta in grado di far uscire i minori sfruttati sul lavoro e da altre situazioni tragiche, come quella dell’avviamento al mercato del sesso o il caso dei bambini soldati.

@nyewoodgardens



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Uno sguardo alla città che verrà, a partire dalla realtà che già ci circonda: Milano interculturale. Studenti, lavoratori, imprenditori, vicini di casa, compagni di ufficio. La commessa, il dentista, l’imbianchino, la tata. Mezzo milione di stranieri in tutta la provincia, il 15 per cento nati in Italia. Una molteplicità di accenti, costumi, codici che si mescolano a quelli degli “autoctoni” in un mosaico ancora da comporre. Questo blog multi-autore si propone di dar voce a milanesi di origine straniera - di prima, seconda e terza generazione -, ma anche a tutti quelli che vogliono interrogarsi sull’incontro/scontro di civiltà. A partire dal quotidiano: questioni di condominio, contatti sui mezzi pubblici, difficoltà sul lavoro, convivenza a scuola, conversazioni al bancone del bar. Senza buonismi, ma evitando anche chiusure e pregiudizi. Un tentativo di intercettare e tradurre le molte lingue che ormai si parlano in città.

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