La campagna elettorale più brutta di sempre che toglie la voglia di votare

Il 4 marzo il dato sull'astensionismo potrebbe essere clamoroso. La colpa è di una politica poco credibile che promette ciò che non può mantenere, mentre il debito pubblico ha superato i 2mila miliardi di euro

di Enrico De Girolamo
20 febbraio 2018
13:03

La campagna elettorale più brutta, inutile e grottesca di sempre sta riducendo ai minimi termini la voglia di andare a votare. Forse ancora non ce ne rendiamo conto pienamente, ma quando ci ritroveremo soli di fronte a quella fatidica scheda, figlia di una legge elettorale complessa e opaca, realizzeremo che non c’è scampo: ci hanno incastrati. Di nuovo. 

 


Previsto astensionismo record

L’unica arma spuntata a nostra disposizione resterà l’astensionismo, nell’illusione che rifiutarsi di giocare alle assurde regole che ci hanno imposto possa servire a qualcosa. In realtà non servirà a niente. Perché le percentuali prescindono dai totali. Che vadano a votare 100 persone o solo 50 non cambia nulla, alla fine ci sarà sempre chi potrà ostentare un risultato positivo che lo proclami vincitore, quasi-vincitore o quello che è.

 

Di nuovo tutti qua, sempre gli stessi

È anche vero che da quando il muro di Berlino è venuto giù nel 1989, rendendo anacronistiche le vecchie divisioni ideologiche, non abbiamo più votato con grande convinzione alle Politiche. C’è stato solo qualche lampo di novità con Berlusconi negli anni ’90 e poi con Renzi più di recente, ma con risultati scarsissimi in termini di cambiamento. Anzi, sembra quasi di aver fatto passi indietro anziché in avanti. Ora sono di nuovo tutti qua. Berlusconi e Renzi. La Lega senza Bossi e una specie di Alleanza nazionale senza Fini, Rifondazione di sinistra-sinistra e una marea di centristi demomassocomucristiani che a nominarli tutti non basterebbe una giornata. Infine ci sono i grillini senza Grillo, che da 10 anni si struggono e si (auto)distruggono in attesa dell'inarrivabile “o tutto o niente”, che anche questa volta non potrà essere colto. Un quadro disarmante, di cui la politica è consapevole. Ecco perché dietro l’angolo di questa tornata c’è forse l’astensione più alta che si sia mai registrata in Italia, con il 35-40 per cento di elettori che potrebbero girare le spalle alle urne, confermando uno scollamento epocale tra politica e cittadini. 

 

Le promesse impossibili

D’altronde cosa altro possiamo aspettarci, se non disaffezione cronica, dopo una campagna elettorale che ha portato alla ribalta quasi esclusivamente chi la sparava più grossa. Dal reddito di cittadinanza fino a 1.950 euro per famiglie con due figli (Di Maio) alle pensioni sociali da 1.000 euro senza neppure un contributo versato (Berlusconi), dall’abolizione della Fornero (Salvini) alla flat tax al 15 per cento (ancora Berlusconi), dall’abolizione del canone Rai (Renzi) alla scomparsa delle rette universitarie (Grasso), dall’abolizione del jobs act (LeU, destra e cinquestelle), ai grandi classici come l’abolizione del bollo auto e così via. Promesse che sono state analizzate, calcolatrice alla mano, dall’Osservatorio sui conti pubblici dell’economista Carlo Cottarelli, con risultati esilaranti in termini di coperture finanziarie, che - ovviamente - non ci sono. Intanto, quando i seggi saranno aperti, il debito pubblico italiano avrà ormai toccato quota 2.300 miliardi di euro. Debito che grava su ogni singolo italiano, compresi i neonati, per circa 40mila euro a testa, e che cresce alla ipersonica velocità di oltre 2.000 euro al secondo. Al secondo. Non so se mi spiego. E allora, di che stiamo parlando?

  

Programmi acchiappa like senza idee né verità

Se questo è il contesto generale, ovvio che la politica punti ancora di più su localismi e clientelismi. Dalla forza dei signorotti a difesa dei rispettivi feudi provinciali e regionali dipenderà il risultato finale. Soltanto loro - quelli che gestiscono pacchetti di voti come se fosse l’argenteria di famiglia da passare di padre in figlio, di moglie in marito, di nonno in nipote - possono decidere le sorti di una contesa in cui i programmi li fanno i social media manager a caccia di like, mentre gli elettori restano sullo sfondo come un fastidioso ma ancora necessario orpello.

Enrico De Girolamo

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