La Nuova Ferrara

Per la prima volta onorati i ferraresi morti in Sudafrica

di DAVIDE BONESI
Per la prima volta onorati i ferraresi morti in Sudafrica

Nei campi di prigionia perirono 317 italiani fra cui cinque nostri concittadini Lo storico Bertelli ha rappresentato il Genio alla cerimonia per il 70º anniversario

27 novembre 2017
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Nel 1939 il Sud Africa entrò in guerra contro la Germania e con l’ingresso dell’Italia in guerra anche il nostro Paese divenne un nemico dello Stato africano. Nel giugno dell’anno successivo l’Unione Sudafricana catturò due navi mercantili italiane, il cui equipaggio è da considerare il primo nucleo di prigionieri di guerra italiani in Africa, anche se internati civili. Una storia proseguita durante l’intero secondo conflitto, con migliaia di italiani nei campi di prigionia in Sudafrica. Certo, non siamo ai livelli dei campi di concentramento tedeschi, la vita dei prigionieri era indubbiamente migliore, ma il bilancio complessivo parla di 317 vittime, 233 persone morte per malattia, 76 per incidenti e 8 in mare durante il trasporto nei campi. La detenzione in Sudafrica terminò il 14 dicembre del 1946, ma alcuni rimasero bloccati in Sudafrica un anno, perché si rifiutarono di rinnegare l’alleanza ai tedeschi, nel frattempo diventati nemici dell’Italia.

Per la prigionia in Sudafrica morirono cinque ferraresi, ma uno solo nel campo, quattro a causa del bombardamento della nave Nova Scotia da parte dei tedeschi (ma questa è un’altra storia). Erano centinaia i ferraresi, anche il padre e lo zio dell’indimenticabile Ottorino Bacilieri di Voghiera o il dottor Alfonso Nonato, zio di Marco, dentista e autore di libri sul motorismo ferrarese e sui ristoranti. Sia Nonato che i Bertelli vennero presi prigionieri il 17 gennaio del ’42 a Passo Halfaya, al confine libico-egiziano. Nonato operò nell’ospedale del campo di Zonderwater (nella lingua locale significa “senz’acqua), dove ogni anno c’è una cerimonia commemorativa per ricordare gli italiani morti in Sudafrica, ma per la prima volta nei giorni scorsi si è recato sul posto lo storico ferrarese Gian Paolo Bertelli, il quale è legato a doppio filo con questa parte della storia della Seconda Guerra Mondiale.

«Sia mio padre che mio zio - racconta Bertelli, che ha rappresentato nell’occasione l’Associazione nazionale del Genio e delle trasmissioni - furono internati nel campo di prigionia di Zonderwater, che si trova vicino Pretoria. Mio padre tornò nell’aprile del 1946, mio zio solamente l’anno successivo perché si rifiutò di collaborare. Entrambi facevano parte del II Artiglieria celere di Ferrara, di quei prigionieri è rimasto in vita soltanto un loro commilitone di Lucca, con cui ho avuto occasione di conversare su quegli anni. Questo perché nessuno dei miei parenti ne ha mai voluto parlare, però da appassionato di storia sono riuscito a ricostruire la vita in quel campo di prigionia. Non era drammatica come in altri campi e in effetti molti italiani sono deceduti per ragioni assurde. Il campo, infatti, si trovava su un altopiano a 1.700 metri di altezza, nelle giornate di maltempo i prigionieri venivano radunati sotto un tendone tenuto in piedi da un palo di ferro, così molti nostri connazionali sono morti fulminati. Altri furono uccisi dalle guardie zulù ubriache, addirittura c’era una multa di ben 7 sterline per chi ammazzava un prigioniero».

Ora a Zonderwater c’è un cimitero di guerra, la lapide messa nel 1948 recita “Morti in prigionia. Vinti nella carne. Invitti nello spirito. L’Italia lontana vi benedice in eterno”. È in funzione un museo gestito dall’ingegnere Emilio Coccia, italiano di origine ma residente in Sudafrica da tantissimi anni. Sul posto vi è una chiesetta costruita dai prigionieri italiani (cosa comune ai campi di prigionia sudafricani) e nel museo sono contenute opere (d’arte e letterarie) create durante la prigionia. Bertelli (accompagnato dalla moglie) è il primo ferrarese che va, non senza difficoltà, visto che il viaggio di ritorno è durato 30 ore a causa del colpo di stato in Zimbabwe. «Sono andato per la cerimonia dei 70 anni - racconta -; erano presenti autorità civili e militari sudafricane, mentre in rappresentanza del nostro Paese c’erano una ventina di persone, tutti parenti delle vittime, a parte Giampaolo Franchi colonnello del Genio, oltre ad ambasciatore e console italiani in Sudafrica. Prima gli aerei hanno effettuato un volo radente, poi da un elicottero sono stati gettati petali di rosa sulle tombe. Io ho deposto una corona di fiori per le vittime ferraresi».

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