Il panettone di San Biagio? Tradizione tutta nostra
Don Roveda è esperto di storie dei santi: «Una leggenda dai contenuti educativi» Oggi in via Brusaioli Francesco Mastrandrea rievoca la storia (con la merenda)
Chi oggi mangia gli avanzi del panettone di Natale, sta in salute con la gola per tutto l’anno. La tradizione di san Biagio dice così: addio a mal di gola, faringiti, tossi e raffreddori, se si manda giù, il giorno del 3 febbraio, almeno un boccone di panettone, meglio se raffermo, tenuto appositamente da parte nel corso delle festività natalizie.
È una credenza popolare molto diffusa nel Pavese, nel Milanese, in Lomellina e nel Lodigiano, ma pochi sanno che prende origine proprio dalle campagne dei dintorni di Pavia, nel sud del capoluogo Lombardo. Fonti orali e scritte ci narrano, infatti, che durante il Medioevo una massaia pavese un giorno portò ad un parroco di paese un panettone perché lo benedicesse. Essendo il parroco sul momento impegnato, consigliò alla povera donna di lasciargli il dolce in sacrestia e di passare nei giorni successivi a riprenderlo. La donna obbedì, ma poi si dimenticò della faccenda, tanto che il prete goloso iniziò a sbocconcellare il panettone finché si accorse di averlo finito. La massaia si ripresentò a chiedere il dolce benedetto il 3 febbraio, in cui cade la ricorrenza di san Biagio: il prete si preparò a consegnarle l’involucro vuoto e a scusarsi, però con stupore si accorse che il panettone era ricomparso, diventando grosso il doppio rispetto a quello originale.
«La storia è religiosamente e culturalmente educativa – spiega don Luca Roveda di Pavia, esperto di agiografia locale – perché insegna che non bisogna consumare nulla che non ci appartenga e nemmeno cadere nel peccato di gola, nonostante poi Dio lo perdoni. Il fatto che i pavesi siano chiamati a conservare un po’ di panettone, dal 25 dicembre fino al 3 febbraio, è inoltre una sorta di mortificazione fisica a beneficio spirituale, in quanto risulta evidente che il dolce a questo punto non è più buono come una volta, però assume un nuovo valore, un potere quasi taumaturgico, per il quale vale la pena mangiare qualcosa che non piace. Inoltre, il panettone è un dolce milanese che ha messo radici profonde anche a Pavia e il raffreddore e i malanni della gola sono strettamente collegati alle nostre zone umide e fredde, dove d’inverno è facile ammalarsi: per tale motivo la credenza nasce da queste parti, dove regna la nebbia».
Ma chi era san Biagio? E perché è considerato il protettore della gola e degli otorinolaringoiatri? «L’agiografia ha diverse risposte a tali domande – chiarisce Roveda – Di sicuro, san Biagio era un medico armeno, vissuto nel III secolo. La teoria più fondata racconta che compì un miracolo quando una madre disperata gli portò il figlio morente per una lisca conficcata in gola. Egli impose le mani sul capo del ragazzo, benedicendolo, e lo salvò da morte certa. Alcune fonti tuttavia sostengono che, per guarirlo, incrociò due candele santificate sotto il mento del giovane; altre che forse gli diede una mollica di pane la quale, scendendo in gola, rimosse la lisca. La versione delle candele è suggestiva e oggi chi volesse vivere la festa di san Biagio, oltre che gustandosi per merenda un buon panettone (va bene anche appena comprato), può partecipare alla benedizione della gola con le candele incrociate. Si pratica in tutte le chiese del Pavese alla fine di ogni messa della giornata». Alle 15, al centro sociale Brusaioli di Pavia (piazzale Torino 40; ingresso libero), è pure organizzata la festa di san Biagio, comprendente merenda a base di panettone, con narrazione della vicenda ad esso legata, e spettacolo teatrale a cura dell’attore Francesco Mastrandrea.
Gaia Curci
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