Bambini in guerra tragedia del ’900
L’indagine di Bruno Maida dal Terzo Reich al Vietnam
di ROBERTO LODIGIANILo chiamano secolo breve, secondo la celebre definizione di Hobsbawm , perchè in quei cent’anni si condensarono due conflitti mondiali, rivoluzioni, lo sbarco sulla Luna e altri eventi epocali che hanno cambiato radicalmente la vita sul pianeta. Ma il Novecento ha rappresentato anche il primo periodo storico nel quale i bambini sono stati non solo vittime, ma anche diretti protagonisti delle guerre. Lo spiega Bruno Maida, ricercatore di Storia contemporanea dell’Università di Torino, con il suo nuovo libro pubblicato per Einaudi, L’infanzia nelle guerre del Novecento (pp. 344, 30 euro) che verrà presentato domani pomeriggio al salone Teresiano di Pavia (vedi box).
Professor Maida, nel libro lei ricostruisce in modo approfondito l’indottrinamento e l’inquadramento della gioventù sotto i tre grandi totalitarismi del ’900: fascismo, nazismo, comunismo sovietico. Affinità? Differenze?
«L’elemento comune è l’obiettivo di costruire l’uomo nuovo, dopo la Grande guerra e la condivisione dell’idea che il sistema liberale abbia fatto fallimento. Il che significa agire sulle giovanissime generazioni, da educare a un nuovo modello di società. La differenza sostanziale è che mentre l’Italia fascista e la Germania nazista puntano maggiormente sull’educazione militare, in Unione Sovietica prevale l’aspetto dell’ideologizzazione. In sostanza: Germania e Italia volevano creare dei futuri soldati, l’Urss dei comunisti».
Nel Terzo Reich la militarizzazione della gioventù è massiccia. La Hitlerjugend sforna intere divisioni, come la 12ª panzer SS che combatte fanaticamente contro gli anglocanadesi in Normandia.
«Il nazismo è il primo regime che manda i bambini al fronte. Fino al 1945 non era mai accaduto. Poi minori combattono sia in Italia che in Russia, ma non c’è la mobilitazione di massa che avviene con il Volksturm tedesco. E’ la svolta della seconda metà del Novecento».
Il libro analizza anche gli effetti causati su bambini e adolescenti dalle distruzioni della Seconda guerra mondiale.
«La guerra non si concluse con la fine delle ostilità e il silenzio delle armi, ma lasciò una scia di lungo periodo, in un’Europa devastata. Una realtà la cui percezione era ovviamente diversa per un individuo adulto, rispetto a un bambino che scopre violenza, brutalità, fame. Quel dopoguerra, dopo la morte di massa, crea anche gli orfani di massa, che vagano per il continente alla ricerca dei genitori. Un problema enorme, quello dell’infanzia sradicata e lacerata, prima mai esistito e la cui rappresentazione più efficace è forse fornita dall’Edmund del film di Roberto Rossellini, “Germania anno zero” che in una Berlino distrutta dai bombardamenti si suicida lanciandosi nel vuoto da un palazzo in rovina. Una riflessione che vale per ieri, come per oggi. Penso in particolare ai bambini siriani».
Dopo il 1945, la guerra del Vietnam è quella che ha lasciato il segno più profondo, anche perchè la copertura mediatica l’ha fatta entrare nelle case di tutti.
«Per quanto riguarda i bambini, si tratta ancora di un conflitto di tipo tradizionale. Il fenomeno dei bimbi-soldato inizia più avanti, in Asia e in Africa. La guerra Iran-Iraq (1980-88) è la prima nella quale vengono utilizzati reparti interamente formati da bambini. Fu l’ajatollah Khomeini a teorizzarne l’impiego, in un discorso pubblico in cui esaltò il loro martirio. I bambini vengono utilizzati dapprima come sminatori, nel senso che venivano spediti inermi sui campi minati, a saltare in aria insieme agli ordigni, poi cominciano a sparare. Gli iracheni, dall’altra parte, in un primo momento vedendoli avanzare la presero sul ridere, poi iniziarono anche loro a rispondere al fuoco. In Mozambico, nello stesso periodo, i guerriglieri del Frelimo arruolano bambine-soldato, ma questo avviene come elemento di emancipazione della donna».
Siamo comunque di fronte a un altro tipo di guerra.
«Cambiano le regole d’ingaggio. Il dilemma degli iracheni è lo stesso del cecchino di “American sniper” alle prese con i bambini-bomba».
L’Europa sembra non rendersene conto.
«L’Europa è in pace da oltre settant’anni, a parte qualche eccezione limitata, mentre nel resto del mondo si continua a combattere. Non risolviamo la questione con il metodo Minniti, tenendo lontana la gente che scappa dalle guerre. La disuguaglianza è un tema centrale. In Occidente, la mortalità infantile è ormai pressochè a zero. Altrove, malgrado i grandi miglioramenti nella qualità della vita, siamo ancora al duecento per mille».
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