Caselli a Pavia: «Andreotti assolto? È una bufala, non si neghi la verità del processo»
L’ex procuratore di Palermo e di Torino Giancarlo Caselli presenta nell'aula del '400 il libro scritto con Lo Forte
GAIA CURCIPAVIA. Martedì 6 novembre alle 21, nell’aula del Quattrocento dell’università di Pavia (corso Strada Nuova 65), viene presentato il libro “La verità sul processo Andreotti” di Gian Carlo Caselli e Guido Lo Forte (Laterza, 2018, pp.121, euro 12). Caselli, già procuratore generale della Corte d’appello di Palermo e Torino, è presidente del comitato scientifico dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura, mentre Lo Forte è stato procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo e Messina. I due dialogano assieme a Francesco Ponzetta, sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, e Andrea Gratteri, professore di Diritto costituzionale nel dipartimento di Giurisprudenza pavese.
Caselli, come mai scrivere un libro sul processo di Giulio Andreotti nel 2018? Perché adesso?
«Il motivo è che ci sono ancora tantissimi italiani, forse la maggioranza, che sono convinti che Andreotti, sette volte Presidente del Consiglio e ventisette volte Ministro della Repubblica, sia stato assolto dal reato di cui era stato accusato a cavallo tra anni Novanta e Duemila, cioè dal reato di collusione con la mafia di Cosa nostra. Credere, tutt’oggi, che Andreotti fosse innocente è come dare fede a una gigantesca bufala e il libro serve per raccontare la verità».
Ossia?
«Che Andreotti fu assolto in primo grado dal tribunale di Palermo, sia pure per insufficienza di prove. Poi assolto anche dalla Corte d'appello di Palermo, ma solo per i fatti successivi al 1980. Per quelli anteriori a tale data, l'organo giudicante stabilì che avesse commesso il reato di associazione per delinquere con Cosa nostra. Quindi che fu colpevole. La sentenza divenne quindi definitiva e irrevocabile dalla Corte di Cassazione. Le indagini, d’altro canto, dimostrarono che Giulio Andreotti incontrò due volte il boss di Cosa nostra Stefano Bontate per discutere di Piersanti Mattarella, il quale successivamente venne assassinato dalla mafia».
Eppure Andreotti non fu condannato.
«Fu dichiarato colpevole per un reato commesso ma prescritto, accaduto troppo in là nel tempo. Ciononostante rimane un’abissale differenza tra prescrizione e assoluzione».
Pensa che la questione sia ancora attuale?
«Sì, perché se si nega la verità del processo Andreotti si negano pure i rapporti tra mafia e politica che hanno attraversato l’intera storia del nostro Paese. È una questione che riguarda tutta la democrazia».
Caselli, lei in questi mesi è in libreria anche con un altro libro di estrema attualità: “C’è del marcio nel piatto” (Piemme), in cui affronta il tema delle agromafie. Sa dire quanto queste agromafie siano diffuse sul territorio nazionale e quanto interessino la provincia di Pavia, composta per una buona percentuale di campi coltivati?
«Non ricordo con precisione i dati di Pavia, ma so che le zone più ricche sono le più a rischio di infiltrazioni criminali. Perché i mafiosi vanno là dove il denaro circola parecchio, allo scopo di confondere i loro soldi sporchi con quelli puliti e meglio riciclarli.Le agromafie hanno un giro di affari di quasi 22miliardi di euro all’anno: un fenomeno preoccupante che aumenta ogni anno del 10%».
Le leggi funzionano?
«No, sono un colabrodo, piene di buchi dai quali entra qualsiasi cosa, in primis la mafia. Le leggi sono obsolete, mentre la delinquenza si è evoluta, internazionalizzata e modernizzata. Bisognerebbe puntare all’adozione per tutti gli alimenti di una “etichetta narrante”, che dichiari l’origine, la preparazione e gli ingredienti del cibo e delle bevande che si consumano, in modo da evitare contraffazioni. Per ora, comunque, si può stare sicuri con i prodotti alimentari a filiera corta, per i quali è raro che la mafia si intrometta, perché maggiormente controllati».
GAIA CURCI
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