TRAVAGLI DEMOCRATICI

Alle urne del caro estinto Pd

Le primarie di domenica per scegliere il segretario regionale sanciscono la fine di quel partito nato dieci anni fa. I tre candidati concordano: "Dobbiamo cercare un nuovo modello di partecipazione". E Chiamparino fa gli auguri (e gli scongiuri)

Le speranze e le illusioni. Mai come in questa vigilia di primarie per dare una nuova guida al Partito democratico in Piemonte il confine è labile e quando si sposta lo fa per lasciare terreno alle seconde e rendere sempre più concreto lo spettro del flop lungo il travagliato cammino verso le urne. Che, visto quel che accade nel Pd ben oltre i confini regionali, a più d’uno suggeriscono l’altro significato della parola: quello funerario. Ma si pone, come fanno – sia pure in termini e con toni differenti – tutti e tre i candidati, la questione sul senso stesso di questo sistema di scelta dei vertici regionali adottato sull’onda entusiastica del maggioritario e di uno scenario bipolare, ma oggi assai anacronistico e, soprattutto, foriero di un risultato in fatto di partecipazione tanto annunciato quanto temuto.

Chiamare al voto gli iscritti, in un momento (ormai piuttosto lungo) di crisi del partito e con sempre aleggiante (seppur smentita) eventualità di una ennesima scissione, già è un’ impresa. Immaginare sia pure in forma assai ridotta di poter contare ancora su quel popolo delle primarie che connotò l’epoca fulgida del renzismo, è ardire oltre ogni misura. Domani più che il rito delle primarie si celebrerà quello di addio a un modello di partito, ormai superato. Cosa verrà dopo è la grande scommessa, la missione non facile e che non potrà che tenere conto delle necessità di cambiare anche uno dei meccanismi di scelta della rappresentanza e di partecipazione attiva non più adeguato allo scenario e ai tempi mutati dal 2007 e, ancora prima, quando per a prima volta si sperimentò il voto aperto.

Inutile ricordare l’ovvio, a partire dalla scelta del periodo in cui il clima – questa volta meteorologico – non aiuterà di certo, mentre forse già al momento della conta dei votanti si comprenderà come la strada della candidatura unitaria – a lungo ricercata, ma poi obbligatoriamente abbandonata – avrebbe risparmiato non solo il probabile flop, ma anche quella rincorsa affannosa da parte di tutti i candidati e dei loro sostenitori nella chiamata ai seggi.

La logica, come spesso accade in politica, si declina e incrocia con dinamiche si schieramento. Così non stupisce che Paolo Furia, il candidato della sinistra e con riferimento nazionale in Nicola Zingaretti, osservi come che “si deve tornare a far votare solo gli iscritti. Bisogna superare un modello adottato guardando al bipartitismo e gli statuti non sono la Costituzione. Ricordo che il Pd a livello nazionale aveva attivato un tavolo in cui per mesi si è discusso questo tema, ma poi non se ne è fatto nulla”. Il giovane ricercatore universitario biellese non nega che “un’alta partecipazione è auspicabile, ma se non ci sarà dall’esterno, dai non iscritti non sarà la fine del mondo”. Per Furia che, appena tornato da un volantinaggio davanti ai cancelli dell’Iveco rifiuta la descrizione della sua compagine come quella che guarda a un ritorno alla Ditta, “non è il caso di drammatizzare il tema della partecipazione, l’importante e dare segnali laddove abbiamo perso le elezioni, parlare di ritorno ai Ds, alla Ditta, come qualcuno fa riferendosi a me, rispondo che sono solo politicismi. Il tema è più semplice: riguarda gli elettori che abbiamo perso”.

E “agli elettori che ci hanno lasciati” guarda anche Monica Canalis, la candidata cattodem – popdem, preferisce definirsi, per richiamare la matrice popolare di uno dei ceppi originari del partito – che a livello parlamentare ha il suo riferimento nel deputato Stefano Lepri, “ridando il primato ai temi sociali” e coltivando “un riformismo radicale”. Ma guardando agli elettori di domani, in quei gazebo sostituiti da luoghi meno esposti alle rigide temperature invernali, la candidata presentatasi dopo il passo indietro di Luigi Bobba, sostiene che “bisogna trovare degli strumenti incentivanti per chi si iscrive al partito, ci deve essere un vantaggio a chi fa questa scelta anche n termini di servizi, da corsi di informazione all’utilizzo delle nostre sedi per studenti universitari, corsi per gli over 50 o per insegnare l’italiano agli stranieri. Detto questo, le primarie vanno riviste e in generale non solo le primarie ma lo statuto stesso. Abbiamo organismi troppo ampi, servono assemblee e direzioni più snelle”. Primarie tutt’altro che totem, insomma: “Non è quello strumento ad avere un valore fondativo per il Pd, ma è la nostra gente ad esserlo”, spiega Canalis che all’idea di una scissione, di una formazione di un soggetto nuovo oppone “l’intelligenza di Matteo Renzi che lo porterà a restare”. E per il partito in Piemonte, lei che nel suo curriculum  vanta la guida della Scuola di Formazione politica, auspica “un segretario o una segretaria entro Natale” aprendo all’eventualità che nessuno dei tre raggiunga la soglia per l’elezione immediata. “Se sarò eletta chiederò agli altri due candidati di far parte della segreteria. Sono convinta che le tre mozioni resteranno sul tavolo e credo potranno integrarsi, per aiutare con un momento programmatico entro gennaio per aiutare Sergio Chiamparino nella sua proposta per i prossimi cinque anni”.

Sceglie simbolicamente il ponte intitolato all’Unione Europea, a Porta Susa, e la compagnia per certi versi “anomala” di Daniele Viotti, per lanciare in una diretta facebook uno dei suoi ultimi appelli Mauro Maria Marino. Dei tre il favorito in base alle aree del partito che lo sostengono, trasversali anche rispetto alle candidature nazionali dalle quali il senatore si è tenuto rigorosamente a distanza puntando tutta la sua proposta sul Piemonte, con un’attenzione particolare per quel Piemonte2 (il resto della regione, oltre Torino) che da tempo lamenta una marginalità nella gestione del partito. “Abbiamo il peggior governo dal ’48, serve un Pd forte e determinato. Dividersi – dice sollecitato dalla domanda su possibili scissioni – è sempre controproducente, sia per chi lo ha fatto in passato, sia nel caso ci fosse qualcuno che intende farlo in futuro”. A bocce ferme e urne chiuse si tireranno le somme. “Queste sono le regole del gioco e si rispettano, come momento di partecipazione importante. Poi io già detto come a livello regionale il sistema vada ripensato. In quel punto si svolta che io auspico ci sarà anche l’interrogarsi su quello che è lo strumento migliore e più funzionale per un ruolo imporante per gli iscritti e creare le condizioni per un partito sempre più vivo e vitale. Le primarie nascono per decidere leadership e premiership. Quest’ultima già ce l’abbiamo con Chiamparino”.

E proprio il presidente della Regione, in una nota spiega come “nel mio ruolo di candidato alle prossime elezioni ritengo più corretto non dare alcuna indicazione di voto”. Un atteggiamento ampiamente previsto quello di Sergio Chiamparino, il quale osserva come “i temi proposti dai tre candidati nei loro programmi sono tutti seri e condivisibili, in parte già affrontati in questi anni dalla giunta regionale e spesso anche realizzati o in via di realizzazione”. Anche lui – il fautore più convinto di quella candidatura unitaria che nel Pd non si è riusciti a concretizzare – guardando a quelle urne di domani, rivolge “un appello perché la partecipazione alle primarie da parte dei cittadini sia la più ampia possibile. Questo – sostiene – darà maggiore autorevolezza a chi sarà eletto segretario e forza al Pd, nell’imminenza di una campagna elettorale difficile e molto importante per il futuro del Piemonte”.

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