TOGHE

Niente politica nel futuro di Spataro

L'ormai ex procuratore capo esclude qualsiasi candidatura. Per lui un impegno con scuole e nell'educazione alla legalità. E sui potenti sotto inchiesta dice: "Ci si difende nei processi e loro lo fanno". Il duello con Salvini e i rapporti con le istituzioni

All’inizio del mese, in una polemica a distanza, il ministro dell’Interno Matteo Salvini aveva invitato a mettere da parte i suoi commenti: “Gli attacchi politici e gratuiti lasciamoli fare ai politici che si candidano alle elezioni, a meno che qualcuno non si voglia candidare alle elezioni”. Armando Spataro, da questa settimana ex procuratore capo di Torino, non ci pensa. Nel suo futuro da pensionato non prevede candidature, elezioni e impegni nei palazzi del potere: "Tutti hanno diritto di parlare. Sul tema della giustizia ce l'hanno in particolare magistrati, avvocati e giuristi". Settimo piano del palazzo di giustizia, l’ex pm nato a Taranto, 70 anni compiuti domenica, conclude le ultime incombenze dopo il suo addio alla toga e incontra i giornalisti per un colloquio. Spataro ora immagina un futuro impegnato nell’educazione alla legalità per le scuole e le associazioni, ma anche viaggi in Oriente. Insomma, “assolutamente no in politica”. Quindi il suo "interventismo" dell’ultimo anno, sempre in questi “duelli” con Salvini, dipende da un fattore: "Non possiamo accettare delle strettoie che potrebbero essere incostituzionali - spiega -. È importante essere presenti non per fare opposizione. Le posizioni politiche non devono interessarci, ma dobbiamo difendere i diritti".

Tra una schermaglia col capo del Viminale, dopo la battaglia per il No al referendum costituzionale e la difesa della sua inchiesta sul rapimento dell’imam Abu Omar coperta dal governo di Romano Prodi col segreto di Stato, Armando Spataro (primo procuratore capo non torinese dopo una lunga serie) trova parole positive per il potere sabaudo che ha avuto il modo di conoscere in questi quattro anni e mezzo all'ultimo piano del palazzo di giustizia Bruno Caccia, osservatorio previlegiato sulla città non soltanto per la vista sulle Alpi e la collina: “C'è stato un rapporto di estrema correttezza con enti, istituzioni e istituti economici, anche nelle vicende processuali - afferma -. Si dice che ci si deve difendere nei processi e non dai processi. Così è stato”. Nomi non ne fa, mantiene un aplomb istituzionale, ma non possono tornare in mente le inchieste che coinvolgono i politici cittadini, a partire dalla sindaca Chiara Appendino (indagata sia per gli incidenti di piazza San Carlo, sia per il presunto falso in atto pubblico della vicenda Ream), ma anche il predecessore Piero Fassino, coinvolto nell’inchiesta sul Salone del libro. Il magistrato non ha colto particolari problemi nel sistema politico e amministrativo: "Ogni tipo di generalizzazione è errata - prosegue -. Non dico che tutti i politici siano onesti e puliti, ma ci sono anche magistrati che sbagliano, avviene in tutti gli ambiti. Noi non dobbiamo fare i moralizzatori o gli storici”.

In questi anni alcuni politici locali si sono rivolti alla giustizia con esposti, alla ricerca di una sponda e una “supplenza” alla loro attività, con le battaglie che dalle assemblee cittadine si spostano alle aule di giustizia. Secondo l'ex pm tutto ciò "nasce a volta dalle difficoltà interpretative" e anche da una "pan-penalizzazione" dove "tutto diventa reato", ma "guai a lasciarsi influenzare dal momento e dalle aspettative della gente - dice -. Andiamo diritto. Il nostro faro sono la costituzione e le leggi". Infine torna a pensare al suo lavoro da capo della procura. La scorsa settimana, di fronte ai suoi colleghi, al personale amministrativo e agli agenti della polizia giudiziaria, aveva ammesso di non essere riuscito a creare una squadra: "Possono esserci i dissensi, ma si trova una soluzione e si va avanti. Mi dispiace se talvolta non  successo". Elogia invece il rapporto con il procuratore generale Francesco Saluzzo, un "ottimo rapporto, mentre a livello nazionale la tendenza dei procuratori generali è quella di 'controllare' le procure".

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