Roma e la sua mafia che c'è e non c'è

di Raffaella Fanelli

FANELLI

Raffaella Fanelli - Giornalista e scrittrice

Ascoltare il male, toccarlo, annusarlo. Lo faccio danni, da sempre.  Con un registratore e un mestiere che mi ha permesso e mi ha imposto di stare in mezzo ai fatti. Di raccontarli. Anche attraverso la voce di stragisti, di mafiosi, di pentiti e figli di boss, incensurati o condannati come i loro padri.  Perché sono loro a conoscere la verità. Loro a sapere i nomi dei mandanti. Per questo li ho cercati. E per questo ho cercato Maurizio Abbatino, l'ex boss della banda della Magliana.
Perché il Freddo non è semplicemente un ex capo o un ex pentito, è l'ultimo boss vivente di un'associazione mafiosa che ha governato, ucciso e deciso. E  non solo a Roma. Perché la Banda della Magliana non è stata soltanto una gang criminale ma la struttura importante di un'organizzazione ben più vasta che godeva di inquietanti  protezioni in Italia e all'estero grazie ai rapporti con i servizi segreti, la mafia e la massoneria. Ne "La verità del Freddo", il libro intervista pubblicato da Chiarelettere, l'ex boss si racconta.
Rivela fatti accertati e altri che meriterebbero nuove indagini. Come quelli svelati sull'omicidio di Pier Paolo Pasolini, sul sequestro di Aldo Moro, sulla morte di Franco Giuseppucci, sulla scomparsa di Emanuela Orlandi.  Il Freddo della Banda della Magliana racconta la mafia a Roma nonostante sentenze passate e recenti abbiano fatto a gara per negarla:  "Tutte le organizzazioni mafiose presenti sul territorio nazionale hanno da sempre interessi nella capitale. La mafia a Roma c'è, e c'è sempre stata".  Questo mi dichiara Maurizio Abbatino. Le sue confessioni  si intrecciano con verbali e ricerche, con la storia di un uomo che sa  e che risponde a domande non concordate né patteggiate.
Mi sono seduta di fronte a lui e ho ripercorso la sua vita all'inizio con la sola ansia di sapere. Di farmi dire il più possibile. Perché da subito, per la giornalista, è stata l'ennesima sfida, l'ennesima ricerca di nomi e di verità che vuoi assolutamente scoprire. E il Freddo non è il vigliacco ex brigatista o il coniglio mafioso, l'ex boss pentito non ritratta, piuttosto omette, "perché di ogni cosa che scriverai ti verrà chiesto conto". Non credo che si riferisse a proiettili imbustati o peggio a lupare fumanti, ma a querele. Perché oggi un giornalista che scrive di fatti veri e verificabili, ma scomodi, non viene minacciato ma querelato.  Mi sono imposta di analizzarlo in freddezza, col bisturi, come ho sempre fatto, e davanti alle immagini di un passato di sangue ho visto l'indifferenza e la ferocia di un giovane  boss mentre nella voce di chi raccontava ho toccato la delusione e la rabbia di  un collaboratore di giustizia "scaricato" da uno Stato che avrebbe dovuto tutelarlo e proteggerlo. Questi erano i patti.
Con le rivelazioni di Abbatino, il giudice Otello Lupacchini (che firma la postfazione de "La verità del Freddo") nel 1993 smantellò la banda della Magliana attraverso l'inchiesta "Operazione Colosseo". Il magistrato scrisse un fascicolo grosso come un elenco telefonico:  cinquecento pagine zeppe di date, di nomi e di prove che consentirono di ridisegnare la mappa dell'organizzazione malavitosa romana e di stabilire con precisione ruoli e responsabilità dei vari componenti.  Dopo 22 anni il giudice Otello Lupacchini torna  a scrivere di Abbatino.
E' l'unico ad esporsi quando nel settembre del 2015 il collaboratore viene estromesso dal programma di protezione. Non perché abbia commesso dei reati, semplicemente perché per lo Stato Abbatino può reinserirsi nel tessuto economico e sociale, trovarsi un lavoro onesto, affittarsi una casa, tutto ovviamente col nome di Maurizio Abbatino, 63 anni, ex boss ai domiciliari per  malattia. Una decisione che arriva quando a Roma è in corso il processo per Mafia Capitale con imputato Massimo Carminati, un uomo che Abbatino conosce benissimo.
Fu il Freddo ad accusarlo dell'omicidio Pecorelli, sempre lui ad accusarlo di  aver depistato le indagini sulla strage di Bologna... Da queste accuse Carminati è stato assolto, ancor prima del suo illustre coimputato, Giulio Andreotti. E quando Carminati il 3 aprile del 2017 ricorda il suo ex amico nell'aula bunker di Rebibbia nessuno muove un dito. Nessuno chiede e si chiede il perché il Nero abbia ancora così tanto astio nei confronti dell'ex boss, così tanta rabbia da ipotizzare un assurdo complotto ai suoi danni, ordito proprio da Abbatino.
Non solo a chi scrive di mafia anche ai magistrati è ben chiaro l'importante ruolo dei collaboratori. Vanno tutelati. Non vanno lasciati alla mercé di chi  hanno contribuito a mandare in carcere. I   pentiti sono stati fondamentali per la lotta alla mafia, e i magistrati questo lo sanno bene.  Giovanni Falcone  lo ammise pubblicamente dopo aver messo  nero su bianco le dichiarazioni di Tommaso Buscetta: " Prima di lui, non avevo - non avevamo - che un'idea superficiale del fenomeno mafioso. Con lui abbiamo cominciato a guardarvi dentro".
Ad Abbatino è stata rifiutata anche la richiesta di mantenere la sua identità di copertura,  gli hanno  tolto anche il nome che è stato suo per quasi trent'anni, che gli ha permesso di  allontanarsi dal Freddo e da quello che faceva prima. E lo hanno fatto quando Carminati lo ha ricordato nell'aula bunker di Rebibbia, durante il processo Mafia Capitale. Una inquietante contemporaneità che emerge dalle pagine  de "La verità del Freddo" insieme a fatti e prove di  una mafia che ha messo le sue radici anche a Roma.

Il libro: “La verità del Freddo. La storia. I delitti. I retroscena. L'ultima testimonianza del capo della banda della Magliana”, Chiarelettere

 

3 commenti

  • Silvia Persiani 16 giugno 2018 alle 8:38

    Inquietante il fatto in sé e inquietante la coincinenza con il processo a Carminati. Grazie Raffaella Fanelli anche questa una letturac da mettere nel carrello. Mi consola che dopo un anno e pochi mesi che leggo il blog mi oriento meglio su ciò che leggo. Per i lettori del blog è apparso evidente che la Banda della Magliana è un luogo nevralgico per la parte di Novecento che abbiamo vissuto. Curioso che per lo stato che decide del programma di protezione per la tutela di un collaboratore di giustizia non sia così chiaro. E come si comprende dal suo saggio quando qualcosa di non comprensibile accade ai danni delle tante veritá che il paese non conosce... a pensar male ci si azzecca

  • Silvia Persiani 16 giugno 2018 alle 22:09

    Incuriosita dall'interessante articolo di oggi faccio una piccola ricerca. Le motivazioni per cui Abbatino non ha bisogno di protezione sono redatte da Giuseppe Pignatone che quando era a Palermo è stato significativo collaboratore di Giammanco. ???? Solo punti di domanda ...

  • Silvia persiani 17 giugno 2018 alle 2:00

    Riconosco che il presente articolo mi ha particolarmente interessata ed anche incuriosita. Sarebbe interessante capire se esistessero dei collegamenti fra chi ha gestito la decisione di non più proteggere Maurizio Abbatino ed altre questioni inerenti alla Mafia-cosa nostra. Ma forse è solo una balorda associazione la mia ... comunque grazie ancora e mi scuso di avere scritto nuovamente. Il merito è tutto di Raffaella Fanelli che ha toccato tasti nevralgici. Grazie